Raffaele Garinella con Bastérd riprende in mano le questioni della violenza e lotta per la supremazia, ma con un occhio alle finalità di queste.
L’amico Raffaele Garinella ritorna con un nuovo romanzo criminale intitolato “Bastérd”; dico ritorna anche perché quest’opera è assieme prequel, seguito e conclusione di “Bardulos”, quindi ritroveremo personaggi già conosciuti.
Intanto ammetto di essere di parte, perché Raffaele è sia un collega che un amico, ma anche perché Bardulos lo lessi tutto d’un fiato in quanto presentava una scrittura agile e una trama che non chiedeva quasi di essere sospesa da pause; elementi presenti anche in Bastérd. Altra doverosa premessa, in questa recensione riprenderò tematiche già accennate nella prefazione da me redatta per il romanzo stesso.
Come ho avuto già modo di scrivere per la recensione di Bardulos, protagonisti e comprimari erano magistralmente mossi da una grande assenza, quella paterna. Bastérd, facendo emergere la configurazione dell’archetipo paterno ci aiuta a riempire questo vuoto, il quale non riguarda né lo stile né la trama, ma l’immaginario stesso in cui si muovono i personaggi.
Per intendersi meglio quando si parla di immaginario paterno (o archetipo del padre) si fa riferimento ad un elemento, una figura, una propensione a proteggere ma anche ad indirizzare un percorso ad ampio spettro, questo può essere anche un percorso dedito al cosiddetto “male”, ma può essere anche di elevazione spirituale. È un archetipo preposto a mettere ordine alle immagini, ai pensieri, ai sentimenti o ai comportamenti. Mitologicamente, si parte dell’ordine del tempo con Chronos per arrivare ad un ordine gerarchico e di spartizione delle aree di esperienza come avviene con Zeus, il “CEO” che indica la policy dell’Olimpo e ne risolve le diatribe. Proprio grazie al merito dell’inserimento del suddetto elemento strutturale, in Bastérd la violenza non è per lo più fine a sé stessa o al raggiungimento di una posizione di rango che ci riporta ad istinti animaleschi. Non siamo più ad una visione tribale della spartizione del potere nella quale un “anziano” si fa garante e gli altri provano in tutti i modi di salire la scala gerarchica per rovesciarlo. In questo romanzo la violenza è uno strumento, una scelta quasi obbligata per chi tenta di proteggere una persona cara, degli ideali come l’onore o la fedeltà oppure l’ordine stesso di un intero sistema.
Questo uso della violenza è, tuttavia, un aspetto dell’ombra dell’archetipo del padre, che si caratterizza anche per la sua tendenza a scrutare l’oscurità e ad immergervisi. Ecco così che assieme a creare e stabilire un ordine, anche di pensiero, l’emergenza dell’immaginario paterno proietta un’ombra archetipica nella quale in queste stesse creazioni sfumano le distinzioni tra bene e male. Poterlo tollerare non risulta semplice e solo una grande personalità o la pura volontà di potenza possono in qualche modo sostenere la vista di questa ombra, non l’individuo normale. Nell’immaginario moderno, letterario e cinematografico, non possiamo non poter fare riferimento alla pura volontà di potenza di Sauron che è in grado di corrompere chiunque e legare a sé chi ricerca non solo un potere, ma anche un bene supremo come la bellezza e la perfezione. Guarda caso le sue immagini portanti sono l’occhio, il fuoco, la torre, l’anello.
Tornando a Bastérd notiamo come tutto avvenga in una zona di ombra, una terza dimensione al di fuori delle categorie nette che può fornire la sicurezza della luminosità solare che ricerchiamo nel quotidiano. Infatti, la gente comune per orientarsi nella vita di tutti i giorni ha bisogno di posizioni nette come giusto e sbagliato, morale e immorale, bello e brutto, e così via.
Già il titolo ci porta al di fuori da questa chiarezza, partiamo dal significato letterale della parola “bastardo”, che riguarda qualcosa di impuro, corrotto, ibridato, né buono né cattivo e per questo disprezzato. Ricordiamo, tuttavia, che le razze bastarde delle volte sono più robuste e forti di chi le genera, basta pensare al mulo. Si pensa che derivi dalla parola “basto” – che indica sorta di grossa e rozza sella di legno utilizzata sul dorso degli animali da soma per il trasporto di carichi – parola che a sua volta risale al latino medievale bastum, affine al greco βαστάζω, che significa “portare”. Sono tutte etimologie simili a quella di bastone, uno strumento che sorregge ma è anche simbolo di potere come quello del comando (scettro) o che permette qualche funzione speciale curativa o magica (caduceo – bacchetta), ma anche di orientamento e visione se pensiamo ai bastoni per ciechi e ipovedenti.
Se ritorniamo ai personaggi tolkieniani, gli Istari – tra cui Saruman e Gandalf – inviati a difendere e sorvegliare la Terra di Mezzo dalle forze oscure, erano sempre in compagnia di un grosso bastone, non solo simbolo del potere e della funzione, ma anche segno del peso che dovevano sorreggere anche per conto delle persone comuni.
Questo perché, emotivamente, la maggior parte delle persone non sarebbe in grado di tollerare la tensione che le opposizioni – le quali come abbiamo notato sopra contraddistinguono il dipanarsi dell’essere nelle sue profondità – comportano. Perciò tendiamo a posizionarci in una o in un’altra categoria, molto spesso ipocritamente ma senza ammetterlo a noi stessi; in più nel fare questo diveniamo faziosi. Tuttavia, è proprio questa tensione dell’ombra che fa grandi i personaggi di Bastèrd, come i maghi di Tolkien, i quali si muovono all’interno di un mondo misterioso al di là del bene e del male. Non a caso abbiamo dei personaggi chiave denominati Arcani, che fanno parte di un mondo invisibile e misterioso, al di fuori di qualsiasi possibilità di rivelazione.
Abbiamo detto che l’etimologia di “bastardo” è affine a quella di “bastone” e negli arcani maggiori dei tarocchi marsigliesi questo è un simbolo che ritroviamo, ripetuto sotto varie forme e funzioni (bastone, bacchetta, scettro), nei primi 10 arcani che si concludono con l’Eremita (VIIII), al quale fa il seguito la Ruota della Fortuna (X). Quest’ultima rimetterà in discussione le conquiste avvenute rinnovando il ciclo che parte dalla forza vitale del Matto (I) e termina con la saggezza velata dell’Eremita (VIIII). Approfondendo è possibile comprendere la finalità dell’elemento arcano – lat. arceo, “tengo lontano”; gr. αρχεω, “allontano” – la quale, più che custodire un sistema, è quella di proteggere le persone comuni da una verità altrimenti intollerabile, in modo che queste ultime si mantengano entro i confini del velo delle apparenze.
Questa verità, la potremmo identificare come l’intuizione ci fa comprendere in che modo le categorie che adottiamo per cogliere il reale siano frutto molto spesso di compromessi mai esplicitati. Tali “compromessi” sono alla base dell’esistenza di una qualche autorità, religiosa, laica o istituzionale. Li possiamo definire compromessi perché decisi ex ante dai modelli educativi o di potere; qualora questi fossero frutto di un processo di dialettico di unione di istanze in opposizione li potremmo definire come “sintesi”. Arrivare a una simile verità non è possibile attraverso una ricerca lineare, la quale è benzina per il pensiero complottistico e paranoico, altre ombre dell’archetipo del padre. Un’intuizione simile è possibile coglierla solo attraverso le sincronicità e il tempo cairologico come ci mostra Raffaele, che in Bastérd sceglie di non affidarsi ad una narrazione puramente sequenziale. Kairos è l’attimo che permette ai personaggi di compiere il destino dei quali sono inevitabilmente portatori.
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