Psicologo per la cura dei disturbi alimentari. Cosa ci nutre veramente?
Psicologo per la cura dei disturbi alimentari
Se ti trovi su questa pagina probabilmente sei alla ricerca di uno psicologo competente nella cura dei disturbi alimentari.
Questi rappresentano un fenomeno che sta attraversando un trend di crescita importante, come riportato da dati ufficiali e che interessa molto la fascia di età tra i 12 e i 18 anni. Ma questo non esclude la popolazione adulta.
Cosa si intende per disturbi alimentari
I disturbi alimentari sono condizioni psicologiche e comportamentali caratterizzate da modalità non funzionali di alimentazione rinforzate da credenze e pensieri personali. Questi disturbi influenzano negativamente la salute fisica, mentale ed emotiva degli individui coinvolti.
I disturbi alimentari possono manifestarsi attraverso comportamenti alimentari eccessivi o insufficienti, accompagnati da preoccupazioni e ansie significative riguardo al peso, alla forma corporea e all’immagine di sé.
Le forme più comuni di disturbi alimentari includono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder). Va precisato che queste condizioni richiedono spesso un trattamento multidisciplinare che coinvolge professionisti della salute mentale, nutrizionisti e medici per affrontare sia gli aspetti fisici che psicologici del problema. Inoltre, quando il disturbo è grave, possono essere compromesse le normali funzioni fisiologiche tanto da dover richiedere l’ospedalizzazione con alimentazione forzata.
Cosa differenzia un disturbo da un altro
Esistono diversi disturbi riguardanti il comportamento alimentare, ciascuno con caratteristiche specifiche.
Quello più conosciuto è l’Anoressia Nervosa nella quale è presente un’intensa paura di acquisire peso e una preoccupazione eccessiva per la forma corporea. L’apporto calorico è ridotto drasticamente, aspetto che porta a una significativa perdita di peso. Può essere più o meno grave in base all’Indice di Massa Corporea dell’individuo.
La Bulimia Nervosa invece si presenta con episodi ricorrenti di eccessi alimentari seguiti da comportamenti compensatori, come il vomito autoindotto, l’uso eccessivo di lassativi o l’esercizio fisico estremo, al fine di evitare il guadagno di peso. La gravità del quadro è data dal numero di abbuffate settimanali.
Nel Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder) ci sono episodi regolari di eccesso alimentare senza comportamenti compensatori. Qui le persone mangiano in modo eccessivo anche quando non sono affamate, con una sensazione di perdita di controllo durante gli episodi. Anche in questo caso la gravità è stimata in base alla ricorrenza delle abbuffate.
Il Disturbo dell’Alimentazione Evitate/Restrittivo si presenta quando c’è una limitazione significativa nella varietà o quantità di cibo assunto, spesso associato a paure alimentari, sensibilità sensoriali o evitamento delle esperienze alimentari. Questo disturbo provoca significativa perdita di peso o difficoltà nell’arrivare ad un normopeso.
Livelli di intervento per i disturbi alimentari
I disturbi alimentari più di altri richiedono il lavoro di un team multidisciplinare composto da medico medicina generale, nutrizionista, endocrinologo, psichiatra, psicologo, ecc.
Intervenire su un disturbo alimentare è un lavoro complesso dove ognuno deve fare la sua parte anche la famiglia, in quanto molto spesso tramite il rapporto con il cibo può essere comunicato un sentimento, un disagio o altro che non trova le parole per essere comunicato. Il fatto è che questa comunicazione non avviene neanche all’interno della psiche dell’individuo che viene silenziata dalla presenza del sintomo.
Questo è il contributo che può fornire lo psicologo che si occupa di disturbi dell’alimentazione. Infatti, partendo dal rapporto con il cibo si accompagnerà la persona a pensare e verbalizzare questi vissuti indicibili. Questo può avvenire sia utilizzando un approccio individuale che un approccio familiare che può risultare molto indicato per questo tipo di disturbi.
Infatti, è stato rilevato un contributo importante dato dalla dimensione psicologica dell’alessitimia. Questa è caratterizzata da una bassa competenza individuale nell’identificare, comprendere e descrivere le emozioni. Possono quindi emergere delle difficoltà a riconoscere le proprie emozioni, a comprenderne le cause e le conseguenze, e ad esprimere le proprie emozioni in modo appropriato.
Per tale motivo l’emozione provata dall’individuo non trova una regolazione attraverso un pensiero o un discorso. L’unica regolazione che trova è quello di scaricarsi in comportamenti che alla fine possono comportare una sintomatologia clinica. Compito dell’intervento psicologico è quello di aiutare la persona a fornire immagini (metafore, pensieri, ecc.) che portino all’autoregolazione di quello che è a tutti gli effetti un comportamento disadattivo e dannoso. Questo perché vi sono una serie di vissuti talmente intimi che non trovano espressione neanche come dialogo interno.
Una breve amplificazione su anoressia e bulimia
l termine anoressia deriva dal greco antico. La parola è composta da due elementi: “an-” (ἀν-), che significa “senza” o “mancanza di”, e “orexis” (ὄρεξις), che significa “appetito” ma anche “desiderio”. Quindi, in modo letterale, “anoressia” significa “assenza di appetito“. Mentre bulimia è composto da “bue” (βοῦς) e “fame” (λιμός) per cui letteralmente significa “fame da bue”. Queste etimologie se riferite ad entrambi i disturbi e i comportamenti sottostanti (restrizioni vs abbuffate) ci rimandano al desiderio di nutrimento, o come assente o come eccessivo.
La prospettiva analitica ci porta anche a riflettere su che fine ha fatto il desiderio in una società opulenta dove molto è a portata di mano (o di click), compresa l’illusione della felicità. Questa riflessione parte dall’idea archetipica proposta da Hillman con il termine di patologizzazione. Secondo quest’idea la psiche non ha altro modo per porre se stessa come termine di riflessione se non attraverso una patologia. La prospettiva analitica è proprio quella disciplina che pone il metodo dell’autoriflessione alla base del proprio statuto scientifico.
In conclusione
I disturbi alimentari sono quei disturbi psicologici che più di altri necessitano di un approccio multidisciplinare che tenga conto delle componenti biologiche riguardanti le funzioni del corpo, la sua costituzione e l’alimentazione. A questa si affianca la dimensione sociale, in particolar modo quella collegata al sistema familiare. Infine vi è la dimensione psicologica che come abbiamo visto ha come obiettivo l’espressione di quei vissuti che trovano l’unica espressione nel rapporto con la propria immagine corporea e con il cibo.
Se vivi a Perugia o dintorni e credi di avere un disturbo alimentare e cerchi la consulenza di uno psicologo per ritrovare una rapporto più equilibrato con il tuo corpo e con il cibo, puoi visitare la pagina dei contatti e chiedere una consulenza.
Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA): FAQ
Un disturbo del comportamento alimentare (DCA) è una condizione psicologica caratterizzata da comportamenti alimentari non funzionali che possono recare danno alla salute fisica e psicologica di un individuo. Esempi comuni includono anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata (BED).
I sintomi variano a seconda del tipo di DCA, ma possono includere cambiamenti drastici nel peso corporeo, preoccupazioni eccessive sulla forma e sul peso del corpo, comportamenti alimentari estremi (come il digiuno o il binge eating seguito da comportamenti di purging), isolamento sociale e una bassa autostima.
I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione previsti nel DSM-5, oltre ai già citati:
– Anoressia nervosa
– Bulimia nervosa
– Disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder)
– Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo
sono:
– Disturbo da ruminazione, in cui il cibo è rigurgitato e in seguito rimangiato
– Pica, in cui si verifica l’assunzione di sostanze non alimentari (ad es. terra, pastelli, ecc.) non conforme all’età del soggetto.
Inoltre, anche se non prevista come diagnosi, è posta l’attenzione all’Ortoressia come la costante attenzione per un tipo di cibo considerato “sano” tanto da limitare significativamente la varietà della dieta.
Le cause dei DCA sono complesse e vanno lette secondo una prospettiva biopsicosociale. Ad esempio occorre considerare i modelli sociali legati all’aspetto fisico e d’altro canto la costante presenza mediatica del cibo o la sua disponibilità. Inoltre, vi può essere comorbilità con altri disturbi. Dal punto di vista psicologico tratti come il perfezionismo e/o bassa autostima possono predisporre allo sviluppo di questi disturbi, così come la citata alessitimia.
Occorre evitare i paragoni, spesso la bassa autostima o la ricerca di perfezionismo sono alimentati dal confronto sociale. Inoltre è bene evitare giudizi morali che non fanno altro che aumentare il proprio senso di inefficacia nel non superare il disturbo. Altra cosa da evitare è di cercare di far leva sulla forza di volontà personale e questo vale per qualsiasi, se bastasse la forza di volontà non ci sarebbe bisogno di psichiatri o psicologi. Evitare anche appelli al buon senso o correzioni circa la percezione che ha di sé la persona, infatti se si percepisse “correttamente” varrebbe la considerazione fatta in precedenza.
Sì, ci sono molte scale di valutazione per i DCA, attualmente il gold standard per l’esplorazione dei sintomi legati alla bulimia e all’anoressia è l’Eating Disorder Inventory (EDI-3). E’ un test psicologico vero e proprio pertanto può essere somministrato solo da uno psicologo o uno psichiatra. Vi sono altri test ampiamente utilizzati in contesti clinici come la Bing Eating Scale (BES), tuttavia occorre ricordare che l’intervento per la cura dei DCA deve essere integrato per cui si rimanda alle linee guida regionali.
Superare e uscire da un disturbo alimentare è molto difficile e complesso, ma non impossibile, anzi. Occorre però tenere presenta la ritrosia nel chiedere aiuto da parte di chi soffre di DCA in quanto questo minerebbe ancora di più l’autostima o un proprio senso di onnipotenza nel poter controllare il proprio corpo. Pertanto, è necessaria, oltre che un approccio multidisciplinare, la collaborazione e il coinvolgimento della famiglia, anche perché il mangiare è un rito a tutti gli effetti e il più delle volte il disturbo è sorretto da un certo livello di collusione familiare. Inoltre, ci sono linee guida regionali con centri specializzati che possono fornire un aiuto soprattutto, e a maggior ragione, quando la situazione è grave.
“Col cibo si combatte l'angoscia del niente e si ripara il vuoto esistenziale, ristabilendo il contatto con i propri punti di riferimento corporei. In un certo senso, come tutte le malattie, anche la bulimia ha un ruolo funzionale, anzi terapeutico: ci si ammala un po' per non morire.”
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