Essere se stessi. Jung e il processo di individuazione
Il processo di individuazione secondo Jung è il modo in cui gli individui scoprono come essere se stessi. Tuttavia, la ricetta non è così scontata come si potrebbe credere.
Ricercare come essere se stessi rimanda ad un profondo desiderio di autenticità e integrità personale. Questo richiamo interiore a esplorare e abbracciare la propria natura più vera è stato denominato da Jung come “processo di individuazione”. Ma dietro allo scoprire se stessi ci sono molte ambiguità e forse troppe ricette facili che possono dare l’illusione di aver capito di tutto. Perciò è bene sgombrare dal campo qualsiasi equivoco.
Innanzitutto non esiste una ricetta valida per tutti. Se qualcuno fosse in grado di trovare la propria, questa non potrà essere valida per sempre in quanto il processo di individuazione non finisce mai. Inoltre, per scoprire come essere se stessi ci vuole uno spazio e un metodo in cui ognuno possa interrogarsi e riflettere. Anzi più che “farsi domande e darsi delle risposte”, occorrerebbe interrogare sommessamente le proprie immagini interiori per ascoltare il loro messaggio, ma andiamo per gradi.
Il principio di individuazione in filosofia
Il principio individuazione non è un concetto elaborato da Jung ma è antico quanto la filosofia. Infatti, soprattutto nell’antichità fino al secolo scorso i filosofi si sono sempre interrogati sul principio che rende ogni essere un unico e indivisibile. Ad esempio Leibniz parlava di principium individuationis in riferimento alla natura intima della “monade”, quindi ogni entità unica dell’universo, che seppur in modo differente partecipa delle regole e dell’ordine del cosmo.
Per fare un esempio, la monade “moscerino della frutta” è coordinata con la natura per sopravvivere secondo il proprio genotipo che si esprime in rapporto all’ambiente in un essere unico. Anche se dalla nostra prospettiva sembrano tutti uguali. Va da sé che più la “monade” è complessa, più il suo principio di individuazione è complesso. È diverso il principio di individuazione di un moscerino, da quello di un elefante per non parlare dell’homo sapiens.
Schopenhauer ampliando un po’ il discorso parlava di “volontà”, che al contrario di quello che pensiamo non riguarda il soggetto che vuole fermamente qualcosa. Anzi è indipendente dal soggetto, anche qui parliamo di una natura intima. Però il concetto di volontà ci aiuta a capire che più siamo complessi, più in noi abitano volontà diverse coordinate verso la sopravvivenza. Esistono la volontà della fame, della riproduzione, dell’aggressione e così via. Ognuna vuole – appunto – qualcosa, cibo, sesso, territorio, ecc. Queste sono le pulsioni umane (terminologia freudiana) o gli istinti (terminologia junghiana).
Quindi, per concludere questa parentesi, il principio di individuazione nella tradizione filosofica, per lo più, ci rimanda alla materia e al corpo che si sviluppa verso un’unicità secondo la propria natura.
Il principio di individuazione secondo Jung
L’esperienza comune, la psicologia e lo studio sistematico dei fenomeni patologici, tuttavia, ci testimoniano chiaramente che questa “armonia con la natura” non è per nulla scontata. Ma perché? Come ho specificato all’inizio vi possono essere varie risposte ma nessuna è definitiva. Io vi porgo quella di uno psicoterapeuta che, assieme ad altri, segue in prospettiva di Jung ma, assieme ad altri, cerca di aggiungere aspetti innovativi. Ma partiamo dalla prospettiva.
Jung nel saggio del 1936 “Determinanti del comportamento umano”, esplora le forze che ci muovono all’azione e individua le seguenti:
- istinto di conservazione, entro cui troviamo i bisogni fisiologici,
- sessualità, entro la quale troviamo tutti i pattern comportamentali volti alla riproduzione;
- istinto di attività, il quale riguarda il cambiamento, il gioco, l’irrequietezza e così via;
- l’istinto di riflessione, quello distintivo dell’uomo e collegato al linguaggio che permette di “pensare”;
- la creatività che più che un istinto è un fattore che regola l’espressione degli altri.
Pertanto, per essere se stessi occorre che tutte queste “volontà” siano per prima cosa ben integrate tra di loro e armonizzate con l’ambiente esterno.
In aggiunta, per Jung il principio di individuazione riguarda proprio il distaccarsi, almeno all’inizio, da entrambe le polarità sopra descritte attraverso l’appagamento dell’istinto di riflessione e lo sviluppo della funzione trascendente. Infatti, gli istinti appartengono al cosiddetto inconscio collettivo, quella “porzione” della psiche che non dipende dalla storia individuale. D’altra parte, anche le norme e le tradizioni riguardano la collettività dell’ambiente esterno e non dipendono dall’individuo.
Lo stesso principio di individuazione per Jung è un fattore archetipico, tanto che egli postula un archetipo che lo guidi, il Sé che preme per divenire cosciente.
Identificazione, identità e individuazione
Occorre considerare che l’educazione familiare, scolastica e culturale in genere premia determinati atteggiamenti e comportamenti e ne censura altri. Il risultato è che molti di noi si adeguano su queste aspettative assumendo un ruolo (o ruoli) pressoché fisso che ne va a definire l’individualità. Jung chiama “Persona” questa determinazione dell’identità sociale. Essa è come una maschera che contiene qualcosa di non ancora sviluppato individualmente, ma definito da un copione. Persona perché è la parola latina per indicare la maschera teatrale.
Per fare un esempio pratico, abbiamo visto che a seguito della pandemia sono aumentate sia le problematiche psicopatologiche sia le richieste di supporto psicologico. Una possibile spiegazione sta proprio nel fatto che la solitudine implica il doversi spogliare da questa maschera sociale. Infatti, per qualcuno mantenere questa identificazione è necessario, in quanto essa è vista come l’unico mezzo per sapere chi si è. Per qualcun altro è addirittura vitale e si intendono i bambini, gli adolescenti e i giovani adulti che ancora non hanno sviluppato un’adeguata percezione di sé. Proprio per questo hanno fortemente bisogno di relazioni faccia a faccia (con i genitori, gli insegnati, i pari, la società) che gli rimandino una rappresentazione di come sono e nei confronti della quale si possano identificare … o anche opporvisi.
Quindi, la maschera sociale riguarda le aspettative altrui e l’identità, almeno nella prima fase della vita, si fonda su questa identificazione. A questo si aggiunge che anche la diagnosi di malattia mentale diviene spesso un’identificazione, aspetto che non ne toglie gli elementi di sofferenza o la necessità di intervento in fase acuta. Tuttavia, ne va tenuto conto in quanto è un fattore che rischia di cristallizzarsi nel soggetto.
Essere se stessi. Analisi e sintesi.
Pertanto, la prima fase del processo di individuazione per Jung è propriamente “analisi”, scioglimento di queste identificazioni con etichette collettive e abitudini frutto dell’educazione. A questo si aggiungono quelle più o meno piccole ferite emotive che possiamo definire come i “complessi personali” che a volte tendono a prendere il sopravvento. In questa fase, l’individuo riflette ed esplora queste identificazioni per comprendere quale sente proprie e quali procurano sofferenza a se o agli altri.
Ma a questa riduzione degli immaginari superflui occorre aggiungere una nuova spinta vitale, nuovi desideri. Questi provengono dalle parti inesplorate che ha ognuno di noi e non da qualcosa di cosciente. Di solito emergono dal di dentro grazie a sogni importanti che ci rimangono fortemente impressi, ma possono anche essere eventi esterni ad indicarci il nuovo atteggiamento, o i nuovi talenti, che c’è bisogno da coltivare. Di sicuro è che non è un qualcosa che viene stabilito a tavolino o programmato.
Ad esempio, Jung ha elaborato la tecnica dell’immaginazione attiva proprio per acquisire un metodo di dialogo con immagini interiori. Parliamo in particolare di quella di Anima e di Vecchio Saggio che emergevano spontaneamente in lui e altrimenti rischiavano di portarlo sull’orlo della psicosi. Quello di cui si parla nel Libro Rosso è proprio del processo di individuazione di queste immagini. Esse sono relative a Jung come singolo e non è assolutamente replicabile. Ad ogni modo ne è stato tratto un metodo che risulta fruttuoso in determinate casistiche.
Io, Sé e individuazione.
Jung ci fa comprendere come l’individuazione non dipende dalla volontà individuale, ma da quella proveniente dagli archetipi che hanno una loro autonomia nei confronti di quello che definiamo Io. Ora, se aderiamo superficialmente al senso comune è difficile pensare che dentro di noi ci siano aspetti parziali che hanno una loro coscienza. Ma l’osservazione infantile e l’esperienza clinica con la sintomatologia psichiatrica dimostra l’esatto contrario. Che l’unità psicologica che tutti noi sentiamo come propria non è così scontata. Inoltre, facendo un esercizio di onestà intellettuale, neanche eccessiva, è possibile pensare a quando siamo stati sopraffatti dalle emozioni come odio, paura, amore, panico, ecc. Una volta ripresi siamo soliti affermare “non ero in me stesso”, infatti Freud ha affermato che “l’Io […] non è padrone in casa propria”.
Jung va oltre sostenendo che la casa non è neanche di proprietà dell’Io ma delle immagini archetipiche, e l’Io è un’immagine tra le tante e tra le più recenti. Un’immagine che ha la sua valenza adattiva che non va sottovalutata, ma possono esistere altre “ragioni” dentro l’individuo stesso.
Tuttavia, affinché nella psiche ci possa essere un equilibrio egli postula la necessità di un archetipo, il Sé. Esso consente che immagini e istinti non corrano il rischio di deviare da una centralità, di disgregare l’individuo, e si attiva come compensazione dell’atteggiamento cosciente. Questa centralità sarebbe la pura essenza dell’individuo che vuole essere compresa in modo consapevole e si esprimerebbe ad esempio nei sogni in figure sagge, negli alberi “cosmici” o in altre che ricordano i mandala.
Conclusioni
In conclusione, rispondere alla domanda che riguarda come essere se stessi dal punto di vista del principio di individuazione di Jung è molto complesso. Il processo di individuazione dura fintanto che siamo in vita e si rinnova costantemente.
Quindi, l’individuazione per Jung è un distaccamento dal collettivo psichico inteso come asservimento a ruoli socialmente predefiniti o ad atteggiamenti interiori acquisiti senza riflessione. Questo processo avviene mediante l’analisi di immagini interne, autentiche e spontanee che attraverso questo processo di cura permettono alla coscienza di acquisire una individualità psicologica in senso stretto.
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Uso il termine "individuazione" per designare quel processo che produce un "individuo" psicologico, vale a dire un'unità separata, indivisibile, un tutto.
Essere se stessi
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