Normalità e patologia. Quale è il confine?
Normalità e patologia non sono concetti antitetici, ma spesso sono visti così perché ci rassicura proiettare il “male” altrove.
Quale è la differenza tra normalità e patologia? È veramente auspicabile essere normali? Queste sono due delle domande a cui tenteremo di rispondere in questo, non esaustivo, articolo.
Nell’ultimo periodo in TV ci viene ripetuta come un mantra questa definizione di Normale, ovvero “Che segue la norma, conforme alla norma, quindi consueto, ordinario, regolare”.
Seguendo il senso comune, che è normale per definizione, si chiuderebbe qui il discorso, ogni cosa che devia dalla norma non è normale e, se parliamo di funzioni del corpo, idee, comportamenti è anche patologica. Tanto è che il DSM si basa proprio su questi presupposti statistici.
Una sintesi storica del concetto di normalità
Questa concezione quantitativa della normalità non è antica e, come vedremo più avanti, non è neanche ontologicamente corretta. Nasce nel 1801 quando Gauss elaborò la formula della famosa distribuzione “normale” (curva di Gauss o a campana) per rispondere a un problema astronomico di previsione dell’orbita di Cerere, un satellite di Giove.
Siccome, a condizione che ci siano molte misurazioni, la funzione permette di fare previsioni azzeccate, a partire dal campo astronomico è stata utilizzata in ogni settore del sapere. Se non ci fosse il presupposto che le caratteristiche psicologiche, denominate “costrutti” perché non si toccano, siano distribuite secondo questa regola, non potrebbero esserci test psicologici. Ma appunto parliamo di un presupposto su cui si basano la misurazione di costrutti ipotetici a loro volta.
Pertanto, quando si parla di normalità in senso statistico in psicologia parliamo di una costruzione astratta che ci aiuta in alcune decisioni, come l’assumere un collaboratore, determinare il Q.I. per l’accesso a un particolare sussidio, rispondere ad un quesito di un magistrato, ecc.
Alla fine il risultato sarà una descrizione astratta e tipologica di quello che si presume essere il funzionamento tipico di un individuo rispetto ad una norma (statistica) presunta. Se ci interessassimo di filosofia potremmo dire che rientramo nel campo dell’etica più che della scienza. Un campo comunque che necessita di un metodo che riduca l’arbitrarietà, l’ideologia o l’approssimazione.
Normalità e psicopatologia
Oltre a generare confusione tra psicologia e morale, il criterio statistico comporta scarsa chiarezza anche tra eccentricità e patologia mentale. Benché psicologia e psichiatria siano considerate scienze giovani, le manifestazioni dei sintomi psicopatologici sono riconosciute da millenni e hanno una fisionomia piuttosto stabile. Sono manifestazioni inflazionate e non mediate di archetipi direbbe uno psicologo junghiano. Ad esempio, un delirio è ben riconoscibile anche ad un occhio non esperto.
Quello che cambiano sono le spiegazioni.
Le prime prendevano in considerazione una realtà daimonica che si impossessava dell’individuo. Con l’avvento delle religioni si è passati a credere in una maledizione divina. Con la medicina di Ippocrate siamo pervenuti a spiegazioni profane dovute ad un disequilibrio nei temperamenti.. Attualmente sappiamo che il modello medico è organicista, si è spostato dal piano spirituale a quello materiale fornito dalla farmacologia e dalle neuroscienze, un piano maggiormente controllabile. Tuttavia, è stato fatto notare che l’approccio statistico alla diagnosi psichiatrica, benché meritorio nel fornire chiarezza e condivisione, ha portato il problema che tutto diviene passibile di medicalizzazione. Questo ha portato ad allargare la maglia della psicopatologia determinando un’inflazione di diagnosi criticata anche da chi ha contribuito a creare il medesimo sistema diagnostico.
Normalità, norma e norme
Come è possibile vedere il concetto di normale ci porta ad un’ulteriore confusione, quello tra norma statistica e norma vera e propria. Infatti il significato ci rimanda anche alla parola latina normai, che indica la squadra, lo strumento che serve a rilevare gli angoli retti. Da questo deriva anche la parola italiana “norma” che significa regola di condotta. Si arriva così a qualcosa di ideale. Quando si parla di normalità si confondono queste due accezioni per questi motivi:
a) non conoscenza del linguaggio statistico connotandolo così di giudizi qualitativi;
b) il mondo è orientato dalla tecnica, quindi ciò che è più frequente e usuale è anche più prevedibile;
c) gli “ideali” interni, i nostri archetipi interni che spingono verso l’individuazione, non vengono più riconosciuti a causa della pressione al conformismo e dalle “mode”.
Vediamo che, come ho sottolineato prima, il confine tra scientificità e moralità è molto tenue. Come Gauss è partito dall’astrazione dell’astronomia, ogni ragionamento sulla normalità o meno è un modo di ragionare in astratto su modelli, prototipi, ecc.
È anche un modo che è utile al controllo sia sulle cose, infatti esse diventano chiare grazie alla misurazione. Ma è anche un modo per avere controllo sulla propria angoscia, nel definirsi normale infatti ci si può sentire:
• come gli altri, come la maggioranza, in sintesi meno soli;
• retti, di buoni costumi, migliori di chi è “deviante”.
Il letto di Procuste
“Letto di Procuste” è una locuzione famosa per affermare un’operazione impossibile, adattarsi a qualcosa di già predefinito. Nel nostro caso parliamo sia della normalità come astrazione statistiche, che della norma come ideale di riferimento. Ma chi era Procuste?
Procuste (o Procruste), che significa “lo stiratore” era il soprannome di Polipemone un brigante che viveva per la strada che congiungeva Atene ad Eleusi, dove si svolgevano quei riti iniziatici denominati “misteri eleusini”. Tale brigante viveva ai margini della strada e invitava i pellegrini e i viaggiatori a riposarsi in uno dei suoi due letti. Chi era alto la faceva sdraiare nel letto piccolo così da poter amputare le parti sporgenti del malcapitato. Coloro che erano bassi di statura venivano fatti giacere nel letto lungo in modo tale da potergli slogare le membra per adattarle al giaciglio. Alla fine poi il brigante fu ucciso con i suoi stessi metodi dall’eroe ateniese, Teseo, lo stesso che ucciderà il Minotauro.
A tal proposito, esiste anche un complesso denominato Sindrome di Procuste. Esso identifica quei sentimenti di dolore e tristezza associati ad invidia che si possono provare nei confronti di chi ha successo. Infatti, abbiamo visto che Procuste non si espone, sta ai margini del percorso che porta ad Eleusi, il luogo della trasformazione spirituale. Oltre a ciò aggredisce chi è portato verso quel percorso misterico.
Normalità e archetipi
Il buon James Hillman ci ha aiutato a discriminare le ragioni che stanno dietro al bisogno di identificare e trovare nuove patologie.
Innanzitutto, la società è basata su una narrativa superficiale e “puerile”, per la quale le malattie sono il male contro cui deve combattere un’umanità “eroica”. In questo modo ogni correlato psicologico è espulso dalle spiegazioni naturalistiche e “scientifiche” per le quali c’è una causa materiale e un effetto misurabile. Così le possibilità di attribuire un senso psicologico è soppiantato da correlati neurofisiologici o neuroanatomici, da cause traumatiche, ecc.
Inoltre, vedere tutto in base a delle norme rappresenta in sé stesso un punto di vista patologico, il punto di vista di Atena, l’archetipo che permette il pensiero razionale e ben ordinato. Come abbiamo visto con Procuste, in questo modo le deviazioni da un modello predefinito, magari molto razionale, divengono aberrazioni da dover essere eliminate. Infatti, se tale modalità non viene moderata da altre prospettive perde la sua caratteristica sapienza.
Come ho già fatto notare, le spiegazioni esclusivamente naturalistiche tolgono dalla prospettiva la dimensione del “significato” che sta dietro ad una concezione finalistica degli eventi. Se vogliamo occuparci di psicologia occorre inserire questa dimensione in qualsiasi discorso.
La patologia è normale, anzi è una norma necessaria alla psiche
Sempre Hillman sostiene che ogni immagine, ogni archetipo quindi, si presenta in modo patologico in quanto ha una sua necessità di essere esperita. Tanto meno siamo coscienti delle nostre immagini psichiche, tanto più esse devono attrarre l’attenzione cosciente fino a deformarsi patologicamente.
Esprimiamo questo concetto con un esempio pratico. Chi è sportivo sa che praticare attività fisica è appagante e arrivati ad un certo punto se ne vuole fare sempre di più, magari al di sopra delle proprie possibilità. Ecco che arriva un dolore, un’infiammazione, una patologia appunto. Dal punto di vista psicologico, essa si presenta come immagine del senso della misura che vuole essere riconosciuta e presa in carico dal soggetto.
La psicologia archetipica comprende proprio il fatto che la patologizzazione è un processo necessario per la psiche, fa parte del “fare anima”. Infatti, è risaputo che Jung affermasse che “gli déi sono diventati malattie”. I sintomi sono necessari perché permettono di creare un relazione con la conoscenza di se stessi. Si intende con ciò un rapporto, mediato dal linguaggio e dall’immaginazione, con gli archetipi che ci anno guidato nel processo vitale fino a quel momento. Ma, ancora più importante, si tratta di stabilire una connessione con quegli archetipi che ancora non sono riusciti ad esprimersi.
In conclusione
Come abbiamo visto la normalità è un’astrazione e pertanto occorre stare molto attenti quando ci vengono propinate distinzioni certe tra normalità e patologia o devianza. Questo è un modo molto subdolo di esercitare il potere da parte di persone o superficiali o in malafede.
Anzi la patologia (o le patologie) intesa come apertura alla dimensione della sofferenza (da pathos appunto) è un aspetto ineliminabile dalla nostra esistenza. Torniamo lì, è un archetipo. Pensiamoci bene, un neonato non si sveglierebbe dal suo sonno se non avesse degli aspetti sofferenti che reclamano attenzione, la fame prima di tutto. La sofferenza psicologica, i nostri sintomi psicopatologici, sono la fame della psiche che sveglia l’Io dal suo torpore e lo spinge verso il processo di individuazione, verso la deviazione dalla norma.
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Chi decide chi è normale? La normalità è un’invenzione di chi è privo di fantasia.
Normalità e patologia
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