Raffaele Garinella con il suo romanzo Bardulos ci riporta al secolo scorso in un mondo di legami stretti fatti di violenza e lotta per la supremazia.
Voglio aprire le pagine del mio blog personale partendo da una lettura fatta tutta d’un fiato. Si tratta del libro “Bardulos” scritto dall’amico e collega Raffaele Garinella. E’ una lettura veloce e coinvolgente scritta con un linguaggio diretto e senza tanti fronzoli, come lo sono i protagonisti. Non mi occuperò ovviamente della trama, dello stile in cui è scritto o degli aspetti di cronaca che può evocare.
Mentre lo leggevo, ma soprattutto alla fine, ha fatto emergere una riflessione che è cara a chi si occupa di psicologia analitica, il ruolo dell’archetipo della Grande Madre. Ho notato infatti che nel libro si nota l’assenza di qualsiasi padre. C’è qualche accenno a qualche padre “lavoratore”, nessuno a padri violenti. Si nota l’assenza, la vacuità di questa figura che si pensa sia centrale nella nostra cultura considerata patriarcale. Invece, si parla di lotta tra affiliazioni, di violenza, di dipendenze e di vite fuori dalla legge. Ma veniamo al dunque.
L’archetipo della Grande Madre è se vogliamo il più arcaico tra tutti, ne ha scritto in modo monumentale Neumann e la cultura tra l’Anatolia e il Mediterraneo venerava una Grande Dea lunare che fu soppiantata dalle invasioni delle popolazioni indoeuropee con le loro divinità solari. Ma perché parlo di questo? Cosa c’entra la fine del neolitico con la psicologia? C’entra eccome se consideriamo il fatto che lo sviluppo degli archetipi nella coscienza individuale ripercorre lo sviluppo degli stessi nella coscienza collettiva della specie.
Quindi tornando alla Grande Dea, essa era la custode del ciclo annuale dell’agricoltura e ad essa venivano sacrificati i giovani affinché con il loro sangue propiziassero il raccolto. Aspetto che poi si è trasformato in sacrifici animali e ha mantenuto l’eco nelle vicende del Minotauro. Si nota quindi che la Dea svolge due funzioni, da un lato è dispensatrice di vita, dall’altro è colei che porta la morte come ordine naturale. E i padri che facevano? Poco o nulla, erano temporanei.
Il romanzo, come specificato prima, è ambientato nella Barletta tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso e narra le vicende di giovani e meno giovani “affiliati” a varie organizzazioni.
Guarda caso la parola affiliato deriva dal latino affiliatus, participio passato di “affiliare”, composto dal prefisso “ad-” che indica un movimento “verso” e filiare che deriva da filius, che significa “figlio”. Etimologicamente, “affiliato” ha il significato di “legare come figlio” o “unire come figlio”. La parola latina filius ha un’origine affascinante. Deriva dalla radice sanscrita dhe-, che rappresenta l’idea di succhiare o poppare, in latino infatti il verbo succhiare si traduce con fellare.
Quindi quando siamo davanti alla parola “figlio”, questa ci raffigura l’immaginario del “succhiare il latte”. Proprio come fanno i nostri cari affiliati alla malavita, succhiano le risorse degli imprenditori, dipendono dalla violenza, dalle sostanze e dal potere.
Per di più in tutto il romanzo emerge tutto un sostrato culturale dove la madre è sacra, intoccabile e inviolabile, in presenza delle madri si entra una zona ieratica. Siamo di fronte a tanti paredri che ruotano attorno a questa figura mai personificata effettivamente, ma che aleggia dal di fuori della narrazione.
Tutto questi affiliati quindi non sono altro che personaggi che nella loro drammaticità sono costretti a succhiare il latte dal seno mortifero della Grande Madre, colei che con il suo nutrimento fatto di dipendenze e violenza impedisce un autentico processo di individuazione. Nemmeno la presenza di una figura angelica e immacolata permette una qualsiasi redenzione, anche lei d’altra parte non è solo che una suddita della madre, come la era la povera Kore per Demetra. Tuttavia è proprio Kore l’unica in grado di attraversare gli inferi e procedere verso l’unica vera trasformazione possibile nel regime matriarcale. Dalla Kore a Persefone. Per gli altri non c’è trasformazione se non in cenere o concime.
Tornando ai nostri poveri figli, essi vivono nell’illusione di sfuggire alla loro sorte facendosi forza di una qualche fratellanza e affidandosi al “padrino”. Ma come dice il nome la sua protezione è misera, piccola non degna di qualsiasi ricerca di nutrimento spirituale al quale si dovrebbe ambire grazie al principio paterno.
L’assenza del padre in Bardulos ricorda molto l’assenza dei padri all’inizio del secolo, durante e dopo il primo conflitto mondiale. I poveri figli smarriti divennero ben presto prede di “padrini” che li portarono verso la sacralizzazione della violenza e un secondo conflitto più sanguinoso del primo. Se non si profila nessuna figura che ci riporta oltre l’ordine naturale, allora quest’ordine si manifesta nel suo modo primigenio, homo homini lupus.
Gli unici che escono da questo schema sono i rappresentanti della legge. Specularmente affiliati ma che si differenziano per la ricerca di un “padre”, di un principio spirituale e ordinatore se vogliamo.
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