Conosci te stesso. Il processo di individuazione delle immagini

Conosci te stesso. Oltre Jung

Vediamo come è possibile mettere in pratica il "conosci te stesso" delfico attraverso gli archetipi

Il motto delfico “Conosci te stesso” è uno dei più celebri detti dell’antica Grecia ed è inciso sul tempio di Apollo a Delfi. Questa frase ha radici profonde nella filosofia e nella cultura greca antica ed è stato attribuito a molti filosofi, tra cui Socrate.

Il significato di “Conosci te stesso” invita all’autoconsapevolezza e all’autoaccettazione. Richiede di conoscere i propri limiti, le proprie virtù e i propri difetti, così da poter vivere una vita più appagante e autentica. Implica anche il riconoscimento della propria ignoranza e la ricerca della conoscenza di sé come un percorso di auto-scoperta e auto-miglioramento.

In questo proverò ad andare oltre Jung, rimanendovi in qualche modo fedele, e seguire la scia tracciata da Hillman e dei colleghi che si occupano di Psicologia Archetipica.

Conosci te stesso: Il sentiero per andare oltre Jung

La prospettiva junghiana non necessita di dogmatismo, aspetto connotato negativamente anche dallo stesso Jung. Ad esempio Hillman, provocatoriamente, ha fatto notare che “Io” e “Sé” sono pronomi. Essi, letteralmente stanno al posto del nome, mentre per denominare gli archetipi utilizziamo termini più o meno altisonanti come Grande Madre, Vecchio Saggio, Anima, Ombra, ecc. In un altro articolo, ho ricordato che secondo Schopenhauer è la volontà che muove tutto, noi psicologi analitici parliamo di archetipi e al posto di rappresentazione parliamo di immagini o cognizioni.

Condividendo il punto di vista evoluzionistico, essi hanno funzione adattativa e di sopravvivenza, pertanto il loro manifestarsi dovrebbe essere già armonizzato a prescindere. Basta notare che qualsiasi essere in natura, nasce, è accudito se fa parte del suo programma etologico, apprende ciò che può apprendere e si riproduce secondo le norme della specie. In tutto questo non c’è bisogno di ipotizzare un Io, tutto scorre naturalmente.

Noi essere umani però ci differenziamo attraverso il linguaggio per cui abbiamo bisogno di riferirci a noi stessi come unità, ad un soggetto che agisce. In epoca antica erano le divinità e i riti a ordinare le azioni quotidiane, attualmente è il linguaggio che sembra fondarsi sulla volontà dell’Io. Un linguaggio stratificato attraverso le norme e l’evoluzione culturale. L’Io pertanto è un’immagine che ha in sé la memoria del corpo, delle azioni compiute con successo e poi rinforzate dalle figure di accudimento in primis. Se funziona armonicamente la sua funzione sarebbe di assecondare le immagini spontanee che si impongono, in quanto vitali, e comprendere come si possono esprimere concretamente.

Semplifico al massimo prendendo in prestito l’etologia. L’aggressività intraspecifica è una pulsione che va di pari passi con la territorialità, per cui si attiva negli animali nel momento in cui devono difendere il proprio confine territoriale, o di rango. Si esprime secondo comportamenti codificati che mirano ad ottenere la sottomissione di uno dei due contendenti. Non è ne negativa ne positiva, fa parte di un programma di adattamento per aumentare la fitness, la capacità riproduttiva, dell’animale. 

A livello psicologico sappiamo che ogni volta che abbiamo a che fare con comportamenti aggressivi (non predatori, quelli sono un altro archetipo) siamo di fronte ad una risposta di demarcazione. Di rango o di territorio. È l’immagine di questa pulsione che assume il controllo del corpo e per così dire entra nel mondo. Tuttavia, se la persona attiva la sua facoltà riflessiva può notare che questa immagine emerge nei sogni, negli atti mancati o in altri sintomi. 

Attraverso l’attenzione posta da un atteggiamento riflessivo tale immagine si può modificare e poter divenire un’azione produttiva. L’Ares greco era un bullo e un impulsivo, mentre il Marte romano era disciplinato e in origine era una dio che aveva la funzione di proteggere i confini dei campi coltivati. Detto in termini più semplici l’aggressività si può tramutare in assertività senza che vi sia una volontà cosciente, un Io ad imporlo, anche perché non funziona come ben sappiamo.

Archetipi junghiani, tra psicologia, biologia ed etologia

Conosci te stesso Archetipi e motivazione

Quindi, secondo questa modesta prospettiva, non ci sono Io o Sé che si dovrebbero individuare, ma una serie di volontà, di immagini. Fuori dal mondo junghiano, la Teoria dei Sistemi Motivazionali Interpersonali di Liotti ci ricorda che proprio ciò che muove il nostro agire sono motivi molto semplici che interagiscono sistemicamente. Si parla di:

  • Il sistema di attaccamento: collegato al bisogno di sicurezza e protezione.
  • Il sistema di accudimento: associato alla compassione, all’altruismo e all’empatia.
  • Il sistema sessuale di coppia: finalizzato alla formazione di una coppia riproduttiva.
  • Il sistema agonistico: legato a dinamiche di potere/sottomissione.
  • Il sistema cooperativo paritetico: che è alla base dell’integrazione comune al fine di un raggiungimento di un obiettivo.

Questi sistemi neuronali nel momento che si attivano provocano emozioni (compassione, rabbia, eccitazione, ecc.) che sono innervate nel corpo e che muovono l’Io ad agire. Infatti emozione (“ex”+“movere”) letteralmente significa “portar fuori”, “smuovere”. Quando un’emozione esce fuori in un comportamento è visibile, può divenire oggetto di riflessione. Ma vale lo stesso se rimane “dentro” e si manifesta in un’immagine onirica, un sintomo, una parola. 

Quindi lasciar fluire l’emozione significa fare qualche azione in termini di ricerca di protezione, accudimento, autoaffermazione, ecc. O il soggetto reprime tale azione o ricerca un ambito dove possa essere svolta, questo appare il ruolo dell’Io. Ma c’è un altro modo, ovvero ricercare l’estetica dell’emozione, quindi far rientrare tutto entro il mondo psicologico. Questo significa percepire l’immaginario, l’idea, che sta dietro all’emozione ed arricchirla con un racconto. Così di fronte al sistema motivazionale di attaccamento abbiamo l’immagine del Puer/Puella che ha bisogno di qualcuno che la protegga. Quando si attiva il sistema dell’accudimento abbiamo la “mitica” figura della Grande Madre e così via. Tramite questo atto di riflessione curiamo le immagini psicologiche con altre immagini così che l’ambito delle azioni possibili possa divenire più ampio, meno rigido e più flessibile. Detto nei nostri termini è così che le immagini psicologiche svolgono il loro processo di individuazione.

Ma allora, come si fa ad a conoscere se stessi?

Conosci te stesso - alchimia

La risposta a questa domanda non è semplice e come specificato non c’è una ricetta univoca. Quella che si intende proporre è la più ampia possibile, che si origina dal motto delfico “conosci te stesso”. È possibile tradurla nel conoscere le immagini psicologiche che si attivano, sia quelle interne che quelle proposte dalla società. Conoscerle significa poi prendersene cura, trasformarle in decisioni e azioni quando possibile o lasciarle nel mondo della riflessione quando non possibile.

Per esperienza clinica i sintomi si attivano in maniera molto sofferente soprattutto in quelle persone che deviano eccessivamente dalle richieste delle proprie immagini interiori. Deviano perché o non sono state riconosciute o non hanno trovato un ambiente favorevole per essere coltivate. I sintomi possono essere una richiesta forzata posta dalla saggezza del corpo che pone il soggetto di fronte alla decisione di prendersi cura di queste immagini e quindi del se stesso più autentico.

Detto in maniera diretta, se utilizziamo una prospettiva fondata sugli archetipi, non esiste un “vero Io” o un “vero Sé”. Ma può esistere una possibilità flessibile di assumere su di sé le immagini interne che sentiamo emotivamente e connetterle con il mondo esterno tramite azioni che rispettino le proprie parti essenziali e gli altri.

La stessa idea di “essere veramente se stessi” è un’immagine, una fantasia archetipica che smuove verso tale obiettivo e aiuta nella conoscenza e nella trasformazione dei propri immaginari. 

Conosci te stesso: Conclusioni

In conclusione, rispondere alla domanda che riguarda il “conosci te stesso” dal punto di vista archetipico ci richiede anche di andare oltre Jung. Ho tentato di semplificare al massimo una questione di portata esistenziale sperando di non svilirla. 

Partendo da Jung sappiamo per individuarsi psicologicamente ed essere se stessi occorre prima di tutti staccarsi dalle identificazioni provenienti da immaginari collettivi e poi coniugare la coscienza con le fantasie archetipiche e curative della psiche stessa che si attivano. Seguire Hillman e andare oltre Jung significa cercare di intendere ogni immagine come archetipica e comprendere che ognuna necessita di una propria individuazione. Indica che non bisogna ricerca un’unica essenza monocentrica con la quale la nostra soggettività si debba identificare, ma curarne il più possibile. 

Dal punto di vista della psicoterapia occorre non aderire dogmaticamente a idee, tecniche o metodi che debbano essere uguali per tutti o specifici per un disturbo. Queste risultano utili solo se riflesse entro quella richiesta di cura posta dalle immagini sofferenti che richiedono di essere valorizzate.

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Tempio di Apollo (Delfi - Grecia)


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