Anima e Psiche: facciamo un po' chiarezza su un sottile intreccio
L'anima e la psiche sono collegate perché per la psicologia analitica l'anima è quel fattore che permette l’autoriflessione.
In questo articolo esploreremo il collegamento tra anima e psiche, proverò a rispondere ad una domanda molto scomoda ovvero “cosa è l’anima per la psicologia?”. Scomoda perché il termine anima è stato abolito da molto tempo dalle discussioni scientifiche in quanto considerato eccessivamente carico di aspetti metafisici e religiosi.
Occorre notare che la nozione di anima è qualcosa che pervade ogni civiltà nella costruzione della propria idea di uomo e del posto che occupa in natura. Soffermandoci sul pensiero occidentale, per Omero l’anima non è altro che l’ombra dell’uomo che era in vita relegata nell’Ade, essa pertiene per lo più al ricordo che hanno i vivi del defunto. Per la dottrina orfica l’anima era la parte immortale legata al corpo, in quanto gli uomini derivavano dai frammenti dei titani che avevano cannibalizzato l’erede di Zeus, Zagreo. Qui risale il dualismo fra anima e corpo che troviamo in tutta la tradizione occidentale fino alla modernità, per la quale all’anima pertiene la metafisica e la fede, mentre al “corpo” la fisica e quindi il metodo scientifico come metodo “positivo”.
La fondazione della psicologia come scienza affiliata al positivismo infatti esclude il concetto di “anima” dal suo statuto come affermò Friedrich Albert Lange (1866) sostenendo la necessità di una “psicologia senza anima”. Da allora la psicologia come “discorso intorno all’anima” ha eluso l’oggetto del suo discorrere, utilizzando via via termini sempre meno densi di metafisica come “psiche”, “scatola nera”, “mente”, “coscienza”, “cognizione”, ecc.
Anche Freud eviterà qualsiasi riferimento all’anima cercando di fondare la psicoanalisi come scienza positiva cadendo in quello che è stato definito da molti come un autofraintendimento scientista.
Siamo in una condizione dove tutti hanno cercato di ignorare l’elefante nella stanza, l’anima. Tutti tranne Jung. Infatti, egli con il suo linguaggio simbolico, meno accademico, preciso e riduttivo di quello freudiano, ma molto più insaturo e aperto, ha fatto rientrare l’anima nel discorso psicologico. Vediamo come.
Anima e Psiche: L’anima secondo Jung
Come abbiamo visto per gli archetipi, i concetti espressi da Jung non sono univoci, questo vale anche per il concetto di “anima”.
Innanzitutto egli ipotizza che la psiche nella sua totalità sia una congiunzione di opposti che però si scindono nel momento in cui emerge la coscienza. Nel caso di Anima e Animus essi rappresentano un principio di passività, accoglienza, riflessione e contemplazione contrapposto ad un principio di attività, fecondità, di discriminazione e così via.
Seguendo il modello compensatorio egli suppone che negli uomini la coscienza assuma un carattere volitivo, discriminante ed eroico mantenendo inconscio il fattore Anima. D’altra parte ipotizza che la coscienza delle donne si basi su immagini orientate dalla ricettività, dalla sensibilità estetica, dall’empatia e così via, mentre è il principio Animus a rimanere inconscio.
Il processo di individuazione descritto da Jung esprime la finalità di ricongiunzione degli opposti che si sono scissi nel processo di formazione dell’Io e necessitano di riunirsi grazie alla prospettiva riunificatoria del Sé.
Purtroppo tale lettura si presta molto alla sessualizzazione, per cui spesso è interpretata letteralmente come quello dovrebbe avvenire in ogni uomo e in ogni donna, aspetto non propriamente compatibile con una prospettiva psicologica, tantomeno archetipica.
Un altro aspetto che contraddistingue l’archetipo dell’Anima è il suo essere legato alle immagini femminili, tanto che esistono diversi tipi femminilità negli archetipi. Abbiamo l’archetipo di Eva, che riguarda il femminile maggiormente vicino allo stato di natura e di procreazione. A seguire vi è l’archetipo Elena che simboleggia la valenza estetica e sensuale del femminile. Si arriva all’archetipo di Maria come anima idealizzata, candida, volta alla sublimazione. A queste tre si aggiunge l’archetipo Sophìa che riesce a trascendere e a racchiudere in sé i significati espressi dagli altri tre archetipi.
Un’altra questione riguardante il femminile è rappresentato dall’archetipo di Kore e riguarda la dinamica tra immagini intrapsichiche e proiezioni di queste, che comportano l’essere prima fanciulla, poi donna e infine madre.
Seguendo alla lettera Jung pertanto si nota la distinzione tra il concetto di Anima, uno tra gli archetipi fondamentali dell’inconscio collettivo, e quello di Psiche come totalità di inconscio collettivo, inconscio personale e coscienza che si regge sull’archetipo del Sé come fattore di riunione degli opposti e della totalità delle funzioni psichiche.
Anima e Psiche: L’anatomia dell’Anima
A questo punto occorre andare oltre Jung e seguire il pensiero post-junghiano proposto da James Hillman. Egli ci ricorda come Jung formuli un modello degli istinti in cui è presente un istinto tipicamente umano detto “istinto di riflessione”. Secondo questo la pulsione biologica anziché scaricarsi sull’esterno attraverso un atto concreto, ciò che gli etologi denominano pattern of behaviour, ritorna su se stessa rappresentata come immagine.
La psicologia archetipica sostiene che ogni rappresentazione si fonda su un principio archetipico e l’insieme di questi sono detti “inconscio collettivo”, “psiche oggettiva o impersonale” o anche “mondo immaginale”. Le rappresentazioni come fenomeni individuali vanno a determinare la psiche dell’individuo, la quale emerge grazie all’Anima (cioè all’istinto di riflessione) come fattore mediatore tra l’inconscio collettivo, la coscienza e la fattualità.
In questi termini la psicologia come “discorso intorno all’anima” ha il proprio oggetto di studio in quelle immagini e rappresentazioni che emergono nella psiche, le quali indicano e instaurano il rapporto che il soggetto stesso intrattiene con il mondo interno e quello esterno. Uno studio che non può essere quantitativo ma eminentemente qualitativo che si fonda su un metodo dialettico.
In questo senso la nozione di Anima come fattore di connessione tra il mondo immaginale e la realtà positiva, quindi sperimentabile concretamente, media sia i nostri stati interni (somatici, affettivi, pulsionali) che la visione dei fatti esterni. Questo avviene nella misura in cui riusciamo a “differenziare”, cioè a immaginare, i significati soggiacenti ai fatti in modo di avere modalità diversificate e flessibili di fare esperienza degli eventi.
In pratica si tratta di risalire agli archetipi che di volta in volta si attivano mediante immagini spontanee o oniriche, sintomi, pensieri, emozioni e quant’altro.
La Nozione di Anima
Con Hillman abbiamo compreso che l’Anima è ciò che fornisce un senso psicologico agli eventi, i quali non assumono più un significato estensibile che va a definire la propria identità (il mio lavoro, il mio paese, il mio guardaroba, il mio conto in banca, e così via) ma un significato profondamente individuale e mai presente a priori.
Andare oltre a questa ri-abilitazione dell’Anima sembra arduo, ma c’è chi ci ha provato. Infatti con la parola Anima ancora abbiamo la tendenza a personificare gli archetipi e con questo si può tendere a letteralizzare questa nozione “positivizzandola”, credendo che risieda in qualche parte specifica del corpo, della mente o del sistema neuronale, come un istinto appunto.
Giegerich ci porta a definire la Nozione di Anima come una “negatività logica”, una realtà effettiva che si pone in contraddizione con la realtà fattuale, positiva appunto. Quindi, per “positivo” ci si riferisce a qualcosa che è posizionato in termini di spazio e tempo, ad una fattualità esperibile mediante sia mediante i sensi che con la cognizione. Per “negativo” si intende qualcosa che non è posizionabile in tali termini, che non è vincolato al principio di realtà o al principio di non contraddizione e si oppone al senso comune, in termini psicologici è un puro pensiero immaginativo.
Questa struttura dialettica è alla base della psicologia del profondo e sistematizzata nel momento in cui si è presunta l’esistenza qualcosa di “positivo” (nel senso detto sopra) che fu denominato “sistema conscio”. A questo si affianca un sistema che ha già nel nome il carattere di negazione, il “sistema in-conscio”. Questa contraddizione porta a elaborare la nevrosi come conflitto tra i due sistemi, il quale può essere superato grazie ad un’interpretazione che contenga in sé entrambi i termini.
Detto così sembra molto astratto, per cui tenterò di semplificare con ciò che idealmente avviene in una seduta. Si inizia con il paziente che espone qualcosa, un problema, un vissuto, un sogno (a proposito se ti chiedi cosa sono i sogni puoi leggere qui); questo rappresenta un fatto, qualcosa che ha una sua obiettività. Lo psicoterapeuta sottopone a critica quanto emerso in quanto presuppone che ci sia una realtà non tangibile (psiche, anima, inconscio, ecc.) che può fornire dei significati a quei fatti. Proprio per questo interviene e pone delle domande. Il paziente nel tentare di dare una risposta mette tutto sé stesso e perviene ad una nuova interpretazione dei fatti in cui riesce a superare la contraddizione sopra esposta elaborando la “propria psicologia”. Questo è riconosciuto dal paziente perché in quel momento egli sente su di sé un sapore poetico, ed è quello che chiamiamo “fare anima”.
Ci può essere ancora più utile un esempio che possiamo riferire ad un’immagine onirica, poniamo quella del “gatto”, tutto ciò che pertiene a quel gatto nella sua fattualità come affermato dal paziente pertiene al primo momento dialettico. A questa si oppone tutto ciò che è riferibile al gatto simbolicamente e quindi che rappresenta ciò che “non è” quel gatto nella sua fattualità. Queste possono essere le libere associazioni del paziente o l’amplificazione simbolica. Il punto di arrivo è rappresentato dal significato fornito a quell’immagine, il quale è una sintesi che supera tale dialettica e tiene insieme al contempo i significati prima esposti. Ad esempio il “gatto” come attitudine alla sopravvivenza, come flessibilità psicologica, come possibilità di orientamento autonomo, e così via.
Per come ho esemplificato il procedimento sembra facile, lineare e coerente. Tuttavia è proprio nella dialettica tra affermazione e la sua negazione logica che emergono le prime difficoltà. Questo perché l’ammettere l’esistenza del “negativo” passa per gli immaginari “ombra”, quelli che non possiamo o non vogliamo accogliere, che creano sofferenza se non angoscia, oppure che hanno il potenziale di incrinare un’idea già strutturata che abbiamo di noi stessi.
Un altro aspetto importante riguarda il fatto che è richiesta l’acquisizione di quella che il poeta inglese John Keats chiama “Capacità Negativa”. Con ciò egli intende l’abilità fondamentale del poeta, cioè quella di sospendere il giudizio dell’Io ed essere ricettivo nei confronti delle immagini e dei fenomeni per come si pongono, di permanere nell’incertezza e nel dubbio. Entro il modello proposto significa aprirsi alla base poetica della mente.
Per concludere
In questo breve articolo spero di aver fornito spunti, suggestioni e motivi di approfondimento circa l’anima e la psiche a partire da Jung. Mi rendo conto che è una tematica antica quanto la civiltà umana e oltremodo complessa. Pertanto, non ritengo di essere stato assolutamente esaustivo e sicuramente ci sono questioni non condivise da tutti, ma quantomeno motivate dalla letteratura critica.
Abbiamo visto come il termine “anima” sia denso di implicazioni e come la psicologia, unico campo del sapere in cui il punto di vista del soggetto corrisponde con quello dell’oggetto di ricerca, è dovuta partire da un espediente retorico, la “psicologia senza anima”, per rendersi oggettivabile. Questo si è rilevato fruttuoso in quanto ha permesso di elaborare regole generali che, ad esempio, orientano i processi educativi oltre che le scelte di individui, gruppi, comunità, istituzioni e industrie (tra cui quella pubblicitaria).
La psicologia nella sua valenza empirico-analitica ha permesso di individuare delle norme. Tuttavia, se ci riferiamo al singolo presumendo che debba compiere un processo di individuazione, di sviluppo della propria unicità, ci troviamo in una contraddizione. Infatti, con tali premesse il soggetto sarà posto sempre a confronto con delle norme che sono al di fuori di sé stesso, “senza anima”, o meglio animate dalla “tendenza normatrice”. Con questa premessa come possiamo chiedere al paziente di accogliere la propria individualità, la quale è irriducibile ad una norma per definizione?
La psicologia junghiana, attraverso la prospettiva archetipica, cerca di occuparsi dell’elefante nella stanza della psicologia che chiamiamo Anima, anzi ne assume il proprio progetto di ricerca con un metodo puramente idiografico. Infatti, l’anima, pur affondando nel mondo archetipico e collettivo, è il fattore individuale per eccellenza, e con “fattore” si intende la causa che crea una manifestazione individualizzata.
La psicoterapia, anche etimologicamente, è “prendersi cura dell’anima” e questo progetto di ricerca è racchiuso nel famoso frammento di Eraclito:
«I confini dell’anima, andando, non li troverai, neanche se percorrerai tutta la strada; così profondo è il logos che le appartiene»
Se sei curioso e vuoi approfondire come anima e psiche sono collegate a partire da Jung ti lascio alcune indicazioni bibliografiche oppure puoi visitare la pagina dei contatti. Se vuoi ti invito a sostenere questo sito condividendone i contenuti nelle pagine social.
"La gente farebbe qualsiasi cosa, non importa quanto sia assurda, per evitare di guardare la propria anima".
Anima e Psiche
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