Jung e la sincronicità. Cosa sono le coincidenze significative?
La sincronicità di Jung, ci dice come le coincidenze significative uniscano il mondo interiore con il mondo esteriore.
L’originalità del pensiero di Jung si esprime anche nel concetto di sincronicità specificato nel libro omonimo edito nel 1952. Infatti, egli ha tentato un approccio empirico a quelle coincidenze significative che ci capita di sperimentare ma non possiamo spiegare.
Ad esempio, ti è mai capitato di sognare una persona con chi non eri in contatto da un po’ di tempo, e il mattino seguente ricevere un suo messaggio su WhatsApp o una sua chiamata? Oppure la Vigilia di Natale può venire voglia di rivedere il film “Una poltrona per due” e guarda caso la danno in TV? Scherzavo, quest’ultima non è una sincronicità, ma la prima sì, infatti non c’è alcuna spiegazione plausibile che leghi il sogno alla chiamata dell’amic*.
Quando si verifica una sincronicità?
Jung conia il termine sincronicità per distinguerla come concetto da quello di sincronismo, ovvero due o più eventi che avvengono nello stesso momento. Affinché si possa parlare di sincronicità devono verificarsi le seguenti condizioni:
- si mostra in modo spontaneo un’immagine, una sensazione, un’intuizione o un pensiero. Questo può avvenire durante la veglia o in condizioni di meditazione, sogno, ecc.;
- si profila un dato di fatto, un evento concreto coincidente con il medesimo contenuto;
- la connessione tra i due eventi non è pensabile secondo criteri di causa ed effetto o di suggestione ambientale.
Grazie a queste tre condizioni è possibile affermare la presenza di un evento sincronistico e quindi che abbia il significato di coincidenza significativa. Infatti, nell’esempio precedente il sogno non può avere un effetto causale sul messaggio ricevuto dall’amic* ed è un chiaro caso di sincronicità. D’altra parte, sono un po’ di anni che un canale commerciale trasmette il film citato alla tv proprio il 24 di dicembre, quindi la voglia di vederlo può essere una suggestione.
Proprio tramite il principio dei nessi acausali Jung ha mostrato come la visione del mondo occidentale fondata sul principio di causa ed effetto, seppur funzionale, è relativa. Essa rappresenta una prospettiva che può essere integrata ad esempio dalla visione propria delle discipline orientali, del misticismo medioevale e della filosofia ermetica. Ad esempio, quest’ultima esplicita la coincidenza del mondo interiore con il mondo esteriore, tra il microcosmo come psiche individuale o come corpo e macrocosmo come psiche collettiva o ambiente esterno.
La critica di Jung al principio di causa ed effetto iniziò a partire dagli anni ’20 quando si interessò alla filosofia cinese. Ne testimonia la collaborazione con R. Wilhelm presente nel “Segreto del Fiore d’Oro” e nell’arte divinatoria del I-Ching. Tuttavia, già da tempo egli mostrava un atteggiamento aperto all’inspiegabile. Infatti, la sua tesi di specializzazione del 1902 era intitolata “Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti”. Inoltre, vediamo come anche nella cultura scientifica si stava avviando un processo di messa in discussione delle leggi della fisica classica.
Jung e Pauli, la corrispondenza tra psiche e materia
Agli inizi del ‘900 le teorie sull’inconscio mettevano in discussione il senso comune. In contemporanea la nascita della meccanica quantistica andava oltre il principio di causa ed effetto e l’indistruttibilità della materia. Scienziati come Einstein, Bohr, Heisenberg, Fermi e Pauli hanno sperimentalmente notato che nel mondo infinitesimamente piccolo delle particelle subatomiche non è possibile fare previsioni esatte, ma solo probabilistiche. Hanno scoperto che ci sono stati in cui la materia diviene energia e viceversa e l’osservatore ha un ruolo in tutto ciò, non è neutrale.
Quindi, dal materialismo in cui il reale è dato dall’aggregazione di atomi sui quali si poggiava l’universo si è passati ad una concezione nella quale la realtà si basa sul concetto di energia e sulla sua conservazione (E=mc2). Il fisico Rovelli ci illustra come la realtà che conosciamo e si presenta a noi nella sua concretezza invece, nella sua struttura infinitesimale, è frutto di relazioni probabilistiche.
Lo stesso Pauli afferma che, grazie alle evidenze della meccanica dei quanti, la scienza è tornata all’idea primitiva di “mana”. Un’energia spirituale, incorporea che permea l’universo; il “corpo sottile” della filosofia ermetica. Infatti, Pauli, prima come paziente di Jung e poi come studioso, aveva anche lui una mente aperta e innovativa. Riteneva che le idee su cui si basa la scienza non sono altro che idee archetipiche, che emergono nello scienziato sotto forma di intuizioni o sogni che poi sono sistematizzate mediante lo studio, le riflessioni e gli esperimenti. Gli stessi numeri e simboli matematici rappresenterebbero dei simboli archetipici. Permetterebbero di mostrare la tendenza dell’energia dell’universo a conformarsi secondo determinate strutture in base a funzioni di probabilità.
Grazie allo scambio epistolare tra Jung e Pauli, le idee della psicologia del profondo hanno trovato non una conferma, ma una base di immagini e metafore congrue con le evidenze della fisica. Pertanto, da un lato dallo stato sovrapposto (entangled) dei sistemi quantistici emergono, tramite relazioni, i corpi e le leggi fisiche del mondo sensibile. Dall’altro lato, dall’indifferenziato dell’energia psichica si profilano i sentimenti, gli affetti, ma anche i sintomi psicosomatici. Elementi che però si possono conformare entro rappresentazioni piuttosto riconoscibili chiamati archetipi.
In questo quadro però c’è sempre la necessità di un punto di osservazione. In fisica lo scienziato attraverso la misura potrà determinare se studiare una particella o un’onda di energia. In psicologia il soggetto può scegliere come fornire un senso al mondo; un senso che può essere espresso secondo varie prospettive da quelle più materialistiche a quelle più spiritualiste. Tuttavia, sia nella fisica che nella psicologia vi sono leggi empiriche alle quali è difficile sfuggire. Nella fisica degli elementi macroscopici abbiamo il principio di causa-effetto dal quale non si sfugge, nella psicologia a questo si affianca il finalismo degli archetipi.
In pratica, causalismo e finalismo non si escludono a vicenda. Infatti possiamo affermare di aver fame perché in base ai segnali ormonali si attivano i neuroni dei nuclei ventromediale e ipotalamico laterale. Questo da il via alle sensazioni viscerali che muovono la nostra volontà che a sua volta ci fa aprire il frigorifero. Questa spiegazione analitica non esclude, ma forse rafforza, il fatto che il corpo ha una specie di coscienza, che possiamo chiamare “anoetica” o senza consapevolezza di sé, che lo indirizza verso un fine, quello di assumere nutrienti per mantenere la propria organizzazione vivente.
A proposito di questo Federico Faggin, l’inventore del microprocessore, ci rassicura circa l’intelligenza artificiale. Egli sostiene che, essendo l’IA programmata dall’uomo seguendo schemi di retro-azione in base alla legge della causa-effetto, non ha in sé alcun finalismo che la orienta a mantenere un’organizzazione autoproducente come per gli esseri viventi, da quelli unicellari a quelli più evoluti.
Tornando agli eventi sincronistici, questi è più facile che avvengano (o che vengano notati) nel momento l’individuo può porsi come un osservatore della propria realtà interiore. Quest’apertura alle proprie immagini spontanee e delle proprie intuizioni, lo aiuterà a cogliere maggiormente delle coincidenze congruenti con ciò che vive interiormente. Aspetto che illustrerò più avanti con un esempio tratto dalla pratica clinica.
Teoria della sincronicità e tempo
Come abbiamo notato sincronicità e sincrono condividono la stessa base etimologica. Abbiamo da una parte σύν (syn): che, come ho già fatto notare qui, significa “legare”, “attaccare” e χρόνος (chronos) che significa un “tempo” un “momento” in termini ben definiti. Rovelli ci illustra come con Einstein il tempo che noi percepiamo, appunto, non è un dato di fatto. Esso è una proprietà locale, quindi dipendente dal sistema in cui si trova l’osservatore, in sintesi il tempo è un’assunzione.
Sappiamo anche che nella mitologia greca il primo dio civilizzatore è Crono (Saturno per i romani). Egli, detronizzando il padre Urano ovvero la personificazione del cielo, crea uno spazio tra questi e Gea (la terra). Questo spazio vuoto sarà poi riempito da altre creature viventi, animali e vegetali oltre che divine. Vediamo come in questo mito, ma è esperienza comune nelle cosmogonie, si presenta l’intuizione di un’immagine archetipica, sistematizzata nella modernità attraverso le scienze empiriche.
Ma andiamo avanti, i greci distinguevano il tempo non solo come quantità e successione di fasi o momenti, come imporrebbe il tempo cronologico, lineare; ma avevano altre distinzioni qualitative. Infatti essi parlavano di:
- αἰών (aion), che significa un tempo indistinto, non misurabile. Si tratta di una condizione interna indifferenziata e immutabile, una sensazione a cui rimandano le immagini poetiche. È un tempo oltre il tempo consueto, un po’ come quello che precede la presa di potere di Crono.
- Καιρός (kairos), in cui la qualità è l’aspetto fondamentale. Esso è il tempo propizio, quello opportuno per effettuare una determinata azione o per prendere una certa decisione. È associato anche al concetto di attenzione al momento presente e alla capacità di cogliere l’occasione quando si presenta.
Ho compiuto questa escursione perché ha una valenza estremamente pratica nel leggere gli avvenimenti che ci accadono. Possiamo soprassedere sul tempo cronologico, esso è pratico e ordinatore per definizione.
Ma nel concepire il tempo come indefinito e immutabile possiamo anche comprendere meglio il vissuto dei bambini più piccoli. Essi all’inizio vivono proprio questa esperienza di infinito, dalla quale esce una sensazione emergente del corpo (la fame su tutte) che li fa entrare nel tempo cronologico. Tuttavia, hanno bisogno di una figura accudente che colga il momento opportuno (kairos) offrendo il seno/biberon. Altrimenti l’infante o permarrà nel tempo cronologico in modo sofferente o ricadrà come rifugio nel tempo indefinito.
Torniamo adesso al nostro tema principale ovvero alle coincidenze significative. La sincronicità sembra rimandare all’apparire del tempo opportuno, del kairos, che è sempre presente quando si profila qualcosa di creativo. Spesso, infatti la creatività si manifesta in modo non voluto. Anzi, si profila qualche contingenza significativa, che attiva l’intuizione nell’individuo. Anche la scienza è piena di esempi, Heisenberg ha elaborato il principio di indeterminazione dopo l’aver immaginato che un uomo di notte poteva scomparire tra lo spazio che intercorre tra il cono di luce da un lampione ad un altro.
La sincronicità in psicoterapia.
Il principio di sincronicità quindi rimanda da una parte alla situazione psichica dell’individuo e dall’altra all’avvenimento concreto che avviene come coincidenza. Più l’individuo diviene permeabile alle proprie immagini interiori più si attiva la capacità di immaginazione. Grazie a questa si affinano altre competenze come il problem solving o il pensiero laterale. Reputo queste come facoltà importanti, in quanto se una persona si presenta da uno psicologo è perché prima ha provato invano tutte le soluzioni immaginabili (da lui/lei) per alleviare la propria sofferenza. Ora veniamo ad un esempio clinico per intenderci meglio.
“Ero in seduta con una giovane persona che mi descriveva i comportamenti della madre come piuttosto invadenti. Avevo la sensazione che non se ne rendesse conto. Infatti, tendeva molto a minimizzare. Immaginavo anche forse perché questo era un alibi per non emanciparsi dai legami familiari, per non ricercare una propria individuazione. Successe che mentre, tra me e me, formulavo questa ipotesi, senza aver bussato, entra in stanza una donna che evidentemente aveva sbagliato studio all’interno del servizio in cui ci trovavamo.”
Ecco grazie a questa sincronicità che univa le mie ipotesi/fantasie sull’intrusione materna e l’evento concreto dell’intrusione di una donna nella stanza c’è stato il modo di lavorare sulla tematica della differenziazione. Il saper cogliere la coincidenza come un momento propizio e significativo è stato un acceleratore per tematiche che magari sarebbero uscite con più fatica entro il percorso del/della paziente. Affrontandole è poi stato utile per aiutarla a trovare soluzioni pratiche ed adattive e per acquisire una maggiore autonomia anche sapendo riconoscere e tutelare i propri confini.
Conclusioni
Pensare in termini di sincronicità significa quindi capovolgere il nostro modo di pensare usuale. Questo porta a chiedersi “che senso ha quello che succede?” o “verso quale fine tende?”, ad esempio. Implica rapportarsi con concezioni filosofiche antiche come quelle dei presocratici, degli orientali, dell’ermetismo le quali proponevano intuizioni rese valide dagli sviluppi della scienza dal 1900 in poi.
Grazie a Jung possiamo interpretare la sincronicità, non solo come coincidenza significativa acausale, ma anche come una regola di coordinazione tra il mondo interiore indifferenziato e il mondo esteriore concreto, e che questo coordinamento avviene grazie a quelle strutture verso le quali si conforma l’immaginario, anche quello scientifico, che sappiamo sono gli archetipi.
Infine, è da considerare che il principio di sincronicità di Jung si presta comunque a molte critiche che, come possiamo supporre, si muovono tutte entro la concezione del mondo come un’entità empirica, oggettiva e deterministica. Ad esempio, dal punto di vista delle scienze cognitive la sincronicità può essere spiegata come una distorsione, un bias cognitivo. Infatti il bias di conferma, ci mostra l’inclinazione delle persone a interpretare gli eventi in modo selettivo secondo categorie interne.
Tuttavia, con un esempio pratico tratto dalla clinica ho mostrato, senza alcuna pretesa di verità assoluta, come entrambe le posizioni possano coesistere e orientare verso scelte pragmatiche. Ricordiamoci che un individuo si rivolge ad uno psicologo per stare meglio e conoscere più approfonditamente sé stess*, e non per avere verità oggettive, altrimenti basterebbero i manuali o le raccomandazioni.
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“Un contenuto inatteso in relazione immediata o mediata con un evento esterno coincide con lo stato psichico abituale: è questa che io chiamo sincronicità”
Jung e la sincronicità.
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