Psicologo Junghiano: differenze con altri approcci psicologici

La psicologia è una disciplina vasta e gli approcci terapeutici sono svariati. Scopri cosa differenzia uno psicologo junghiano da un altro che utilizza un approccio diverso.
Nel vasto panorama della psicologia, vi sono diversi approcci, possiamo affermare che la prima differenziazione fu tra Freud e Jung da cui la diatriba “psicologo junghiano” vs. “psicologo freudiano”. Ma queste non sono le sole in quanto con lo sviluppo delle discipline psicologiche sono emerse anche differenti concezioni dell’oggetto di ricerca, oppure di come si forma la conoscenza (epistemologia) fino a concezioni completamente differenti dell’uomo.
Psicologo Junghiano e Psicologia Analitica
Le differenze tra i vari approcci delle volte sono sostanziali. Ad esempio c’è chi vede nella psiche un sistema di elaborazione delle informazioni che funziona secondo regole razionali e identificabili. D’altra parte c’è chi la pensa differentemente e sostiene che il pensiero razionale è una conquista tardiva dell’evoluzione.
La psicologia analitica, fondata da Carl Gustav Jung, offre una prospettiva unica e profonda sulla natura dell’anima umana e sul suo sviluppo psicologico. In questo articolo esploreremo non solo cosa significa essere un psicologo junghiano, ma anche le differenze cruciali tra questo approccio e altri modelli psicologici, come il freudismo, la psicoanalisi e altre forme di terapia psicologica più recenti.
La psicologia junghiana, basata sul lavoro dello psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, si distingue per il suo approccio olistico e la sua attenzione al concetto di individuazione, un processo di sviluppo personale e di realizzazione del Sé e delle proprie immagini interne.
Gli psicologi junghiani pongono una particolare enfasi sull’interpretazione dei simboli che emergono dai sogni o dalle fantasie spontanee collegandoli all’inconscio collettivo, una dimensione della psiche condivisa da tutti gli esseri umani.
Differenze tra Freud e Jung
Le differenze tra Freud e Jung rappresentano un punto fondamentale per comprendere le diverse prospettive della psicologia. Per Freud la psiche è un sistema di rappresentazione che emerge a partire dalla pulsione sessuale (libido) e dal suo differenziarsi dal principio di piacere grazie al superamento del complesso edipico. Jung condivide la concezione energetica della psiche, ma non la confina solo alla libido sessuale. Inoltre, amplia il campo di indagine includendo concetti come l’inconscio collettivo, gli archetipi e l’individuazione.
La teoria di Freud prospetta gli immaginari inconsci come riferiti esclusivamente all’individuo singolo, quindi derivanti dalla storia personale. Tali ricordi, pensieri, immagini o emozioni divengono inconsci grazie ai meccanismi di difesa dell’Io come la rimozione, la negazione, ecc. Ovviamente Jung non nega l’esistenza di tale modalità di formazione dell’inconscio, tuttavia sostiene che prima degli immaginari individuali, qualsiasi essere umano condivide una serie di immagini già alla nascita, dette archetipi, che si attivano in determinati momenti del processo di individuazione. Immagini come quelle del Vecchio Saggio, della Grande Madre, dello Spirito, dell’Anima, dell’Animus, del Guerriero, ecc. che sono reperibili in alcuni sogni detti “iniziatici” e non dipendono dai meccanismi di difesa della coscienza dell’Io.
Psicologo Junghiano vs. Psicoanalista
Sebbene entrambi gli psicologi, junghiani e i psicoanalisti, condividano radici nell’opera di Freud, ci sono differenze significative nei loro approcci terapeutici. Il focus principale della psicoanalisi è l’analisi delle dinamiche intra-psichiche anche attraverso l’esplorazione del passato del paziente, così da sciogliere e risolvere i complessi o i traumi individuali. Per rinvenire tali immagini inconsce occorre bypassare le difese dell’Io raggiungendo uno stato di rilassamento (ecco perché il lettino) e dire ogni cosa che passa in mente. Questo è il metodo delle libere associazioni.
La psicologia junghiana tende a concentrarsi anche sul significato simbolico dei sogni, delle fantasie e dei sintomi per comprenderne il significato in vista di azioni future. Per fare ciò si analizza la loro valenza come archetipi entro la storia collettiva. L’analisi del materiale archetipico non avviene utilizzando il metodo delle libere associazioni, ma grazie all’amplificazione. Un metodo che, partendo dalle immagini per come sono descritte, ne amplia il significato soggettivo con dei parallelismi con la mitologia, il folklore, l’arte e così via.
Psicologo Junghiano e Psicologo Cognitivo-Comportamentale
Il focus del lavoro terapeutico con uno psicologo junghiano si distingue anche dagli altri approcci come quello cognitivo-comportamentale o sistemico. Ad esempio i terapeuti cognitivo-comportamentali si concentrano per lo più sui modelli di pensiero e comportamento disfunzionali. Essi aiutano il paziente a cogliere le proprie fallace di ragionamento attraverso le quali si genera la sofferenza o un’abitudine sbagliata. Inoltre, sostengono l’individuo nell’affrontare le situazioni angosciose sviluppando strategie di fronteggiamento assieme.
Anche in questo approccio emergono tecniche immaginative o di meditazione (es. mindfulness), esse sono utilizzate come “trattamento” per determinate situazioni secondo un paradigma di causa-effetto. Se si somministrano una serie di sessioni di rilassamento si avvia un processo di allentamento delle tensioni nel corpo che abbassa lo stress collegato ai pensieri disfunzionali. La concezione della somministrazione di una tecnica è diversa per uno psicologo junghiano, infatti diviene centrale il confronto con le sensazioni e le immagini che si presentano durante queste sessioni. Si tratta di un vero procedimento dialettico tra tesi e antitesi che perviene ad una sintesi, la cosiddetta coincidenza degli opposti (coniunctio oppositorum). Cruciale è il confronto con il processo avvenuto e la comprensione non necessariamente razionale dello stesso.
Psicologo Junghiano e Psicologo Sistemico-Relazionale
Un’altra prospettiva che si differenzia è l’approccio sistemico-relazionale nel quale ci si orienta ad analizzare le connessioni, le dinamiche, i rapporti di forza all’interno del sistema di relazione in cui è inserito il soggetto. L’obiettivo è pervenire alla riflessione e a diversi modi di relazione e per questo il lavoro non è solo svolto individualmente ma anche con la famiglia del paziente. Egli infatti non è solo un paziente, ma rappresenta anche il veicolo di comunicazione della sofferenza e della patologia di un sistema intero. Pertanto, gran parte del lavoro è svolto nella designazione e nel modificare i rapporti reali attraverso prescrizioni anche paradossali. Invece, gli psicologi junghiani (come gli psicoanalisti) si concentrano nell’analisi delle relazioni per come sono vissute intrapsichicamente. In pratica, il lavoro è sulle immagini interiori che sono proiettate sull’altro (partner, genitore, figlio, capo, collega, ecc.) così da discriminare quanto nella relazione dipende dal paziente e quanto dall’altro. Una volta analizzati questi aspetti risulta possibile decidere cosa è modificabile nel contesto e nella relazione con gli alti e cosa occorre accettare oppure no.
Conclusioni
In conclusione, l’approccio junghiano alla psicologia offre una prospettiva ricca e profonda sulla complessità della psiche umana. Se sei interessato a esplorare il significato simbolico dei tuoi sogni, a comprendere i pattern ricorrenti nella tua vita o a intraprendere un viaggio di auto-scoperta e crescita personale, potresti trovare valore in una consulenza con uno psicologo junghiano. Tuttavia, è importante anche considerare altri approcci terapeutici e trovare quello che meglio si adatta alle tue esigenze e preferenze individuali.
Infine, occorre essere consapevoli del fatto che, alla fine dei conti, l’aspetto fondamentale che farà la differenza è la relazione unica e irripetibile che si crea all’interno della stanza d’analisi. Pertanto, tutte le differenze teoriche sopracitate sono aspetti che passano in secondo piano alla personalità del terapeuta, il quale più che un individuo “risolto” (quindi fermo nella sua supposta sanità mentale) deve essere consapevole che ancora si sta individuando in un processo. Solo con questa consapevolezza potrà prendere per mano un paziente e accompagnarlo a stare meglio.
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