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La Sindrome dell’Impostore e la Psicologia del Profondo


La sindrome dell'impostore non è una malattia psichiatrica ma una condizione esistenziale importante per il proprio processo di individuazione

In questo articolo cercheremo di rendere chiaro cosa è la Sindrome dell’Impostore (o Fenomeno dell’Impostore). In particolare, va tenuto conto che, per la psicologia analitica di Jung, essa rappresenta un buon esempio su quali possono essere i problemi insiti nel processo di individuazione. 

Spesso ci si chiede se quello che facciamo ce lo meritiamo veramente, abbiamo qualche dubbio o qualche incertezza e per questo nutriamo la paura di essere smascherati. C’è anche il caso che nonostante abbiamo successo riteniamo di non meritarcelo. Queste e altre ancora, sono le convinzioni tipiche di chi può essere vittima della cosiddetta Sindrome dell’Impostore. Prima di tutto però occorre definire il fatto che sia normale a volte presentare dei pensieri del genere e il dubbio, anche su noi stessi, spesso è un carburante per il motore che porta all’eccellenza e al miglioramento personale. Tuttavia, ciò che caratterizza questo fenomeno è la persistenza di queste credenze e la loro influenza nei confronti benessere quotidiano.

Cosa è la Sindrome dell’Impostore?

Il termine “sindrome dell’impostore” è stato coniato a fine degli anni ’70 dalle psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes. Nell’articolo “The Imposter Phenomenon in High Achieving Women: Dynamics and Therapeutic Intervention”, in riferimento a un campione femminile, veniva sostenuto come molte donne o studenti femmine mantenessero una forte convinzione di non essere intelligenti, mostrando di essere convinte di aver ingannato chiunque la pensi diversamente. Le autrici notarono che questi risultati sono compatibili con il retroterra della teoria dell’attribuzione per cui si può tendere ad attribuire un evento a cause personali (attribuzione interna) o a cause ambientali o contingenze come la fortuna (attribuzione esterna). Le autrici affermarono che il genere femminile era più portato a proiettare i propri successi a cause indipendenti da sé in quanto maggiormente tendenti a sottostimare le proprie capacità. 

Ovviamente un tale vissuto non è appannaggio del genere femminile, ma di tutti. In generale questo fenomeno descrive una condizione in cui le persone, nonostante le evidenze di successo, si sentono incompetenti e temono di essere smascherate come fraudolente.
Inoltre, parlare di Sindrome dell’Impostore dal punto di vista psicopatologico non è corretto, non esiste una diagnosi psichiatrica in tal senso e non è il caso di medicalizzare qualcosa che riguarda per lo più il piano esistenziale. Infatti, è possibile che tali persone si sentano come individui non compiuti o non realizzati perché portati ad evitare le sfide pur di non fallire. D’altro canto, possono essere eccessivamente concentrati sul lavoro o sulla carriera per ricercare conferme alla propria identità, tralasciando, tuttavia, altri aspetti gratificanti della vita come quello relazionale o affettivo.

I Sintomi Più Comuni

Ad ogni modo, quando si parla del Fenomeno dell’Impostore ci troviamo di fronte ad un quadro coerenti di pensieri, emozioni e comportamenti di questo tipo:

  • Percezione di non essere all’altezza delle aspettative.
  • Attribuzione dei successi a fattori esterni.
  • Timore costante di essere “smascherati”.
  • Perfezionismo e autocritica.

Tuttavia, queste credenze risultano normali agli occhi dell’individuo in quanto oramai facenti parte del proprio senso di coerenza interno. Inoltre, la paura di essere smascherato comporta la rimozione dal livello cosciente di quanto esposto sopra. Rimozione che viene alimentata dal senso di vergogna, pertanto difficilmente una persona ammetterebbe in pubblico di sentirsi un impostore. Quest’ammissione è però frequente dopo aver iniziato un percorso di psicoterapia individuale.

Sindrome dell’Impostore e Personalità "Come se"

Il fenomeno dell’impostore può essere analizzato attraverso la lente della “personalità come se” (As If Personality) di Helene Deutsch. Questa teoria suggerisce che alcune persone creano una personalità artificiale. Essa diviene utile per adattarsi ad aspettative sociali idealizzate e proteggere un senso dell’identità piuttosto labile e sotto costante influsso del senso di vergogna. La definizione di sé stesso non passa attraverso un senso di sé coerente ma flessibile, ma dal come si è visti dagli altri. 

Pertanto, le “personalità come se” sono continuamente alla ricerca di approvazione sociale e, quando mostrano adattamento, si rilevano estremamente camaleontiche. Può succedere che i loro interlocutori possano chiedersi chi sia veramente la persona con chi hanno a che fare. Domanda che tendenzialmente non ci si pone in quanto una volta costruita la credenza su una persona tendenzialmente questa rimane stabile. Il fatto è che le “personalità come se” sono continuamente impegnate nel nascondendo il loro vero Sé. Ciò comporta lo sperimentare stato è caratterizzato da una sensazione di vuoto interno e dalla paura costante di non essere autentici.

La “personalità come se” può essere riscontrata in modo paradigmatico in una rappresentazione cinematografica, parliamo del film Zelig del 1983 di Woody Allen. Il protagonista, Leonard Zelig, incarna perfettamente il concetto di adattamento camaleontico per soddisfare le aspettative altrui. Leonard è un uomo che assume le caratteristiche fisiche e comportamentali di chi lo circonda, perdendo ogni traccia di un’identità autentica. Questa mostra chiaramente una dinamica nella quale l’individuo si conforma a una maschera sociale per essere accettato ma al prezzo di un profondo vuoto interiore.

Differenza tra "Personalità Come Se" e concetto di “Falso Sé”

Il “Falso Sé” è una struttura difensiva elaborata da Winnicott per spiegare il modo in cui un individuo protegge il proprio “Vero Sé” in situazioni di vulnerabilità estrema. Anche questa è una maschera creata per gestire le aspettative degli altri, a partire da quelle dei propri genitori. In questo modo è possibile preservare la sopravvivenza psichica del sé autentico, che viene nascosto perché percepito come inaccettabile da parte degli altri oppure sentito come troppo fragile. Il Falso Sé può essere più o meno rigido: in casi estremi, l’individuo vive completamente attraverso questa facciata, perdendo il contatto con il proprio nucleo autentico.

La differenza tra Falso Sé e “Personalità Come Se” è sottile e sta nel fatto che la prima è una struttura difensiva per proteggere un nucleo inaccessibile della personalità ma effettivamente esistente. Questo nucleo è anche sconosciuto anche al soggetto stesso, e in questo senso inconscio. La personalità come se, più che a proteggere un nucleo, è una continua messa in scena nel quale tutto è proiettato all’esterno. Questo avviene perché o questa immagine di vero sé non si è mai formata, o (evolutivamente parlando) è ancora bloccata ad una fase di idealizzazione senza mai incarnarsi in desideri o comportamenti. A questo si aggiunge un senso dell’identità personale (lo potremmo definire come “io”) molto precario per cui ogni possibile confronto con le immagini idealizzate del Sé è fonte di dolore e vergogna in modo estremo.

Nelle persone con sindrome dell’impostore, questa personalità costruita potrebbe manifestarsi come un perfezionismo esasperato o un tentativo di compiacere gli altri per ottenere approvazione. Tuttavia, tale approvazione non porta mai a una soddisfazione duratura, perpetuando il ciclo di insicurezza. Tutto è una finzione, una performance scenica nella quale esiste solo la perfezione e la costante tensione del doversi in qualche modo esibire per qualcuno. Tutto ciò comporta una forte suscettibilità per la quale la minima frustrazione può generare preoccupazioni, risentimenti fino a far cadere l’umore nei meandri della depressione.

La sindrome dell’impostore e il narcisismo

La soluzione al problema per questi soggetti sarebbe quella di poter raggiungere un’adeguata capacità introspettiva che li porti a vedere sé stessi in modo più complesso e sfaccettato. Una capacità che tuttavia si scontra con il dolore e la sofferenza di non essere mai adeguati agli ideali verso i quali sentono di doversi adeguare. Ciò ci riporta al concetto di narcisismo che, per Freud, non è semplicemente un tratto negativo o patologico, ma una componente universale della psiche umana, essenziale per lo sviluppo individuale. 

Tuttavia, il narcisismo può alimentare il desiderio di perfezione, portando l’individuo a proiettare un’immagine ideale di sé che cerca costantemente di raggiungere. Però, quando il divario tra il sé reale e l’ideale è troppo grande, possono sorgere sentimenti di inadeguatezza, vergogna e insoddisfazione. Tali sentimenti impediscono una reale capacità autoriflessiva, basta ricordare il mito di Narciso che si affoga non riconoscendo che l’immagine del fanciullo del quale si era innamorato fosse quella di sé medesimo.

Sindrome dell’impostore e psicologia analitica

Arrivati a questo punto occorre capire cosa fare quando ci si sente costantemente come degli impostori utilizzando la psicologia del profondo, in particolare la prospettiva junghiana. Jung parla approfonditamente della maschera sociale, che egli definisce con il termine latino Persona, che significa appunto maschera. Essa è un archetipo che preme sull’Io e che prende forma grazie all’interazione tra le percezioni e vissuti individuali e le richieste degli altri. 

La Persona è l’immagine di sé che riteniamo sia desiderabile da chi ci sta intorno o dalla società in genere. È la facciata esterna che viene mostrata al mondo e che permette di adattarsi alle aspettative sociali, culturali e relazionali. Essa serve come base di appoggio dell’Io, in quanto ne viene sostenuto facendogli assumere i ruoli quotidiani. Tuttavia, questa protezione può divenire un occultamento agli altri e a sé stessi (e questo è l’aspetto più drammatico) della propria essenza, delle proprie inclinazioni e dei propri vissuti più autentici. Vediamo che quindi la Persona ha una funzione sociale importante ed evolutiva, tanto che buona parte della educazione è rivolta a curare questo archetipo e a concretizzarlo. 

Quindi i vissuti tipici della sindrome dell’impostore, dal punto di vista della psicologia analitica, sono dovuti il rapporto che intercorre tra la Persona e l’Ombra. Infatti, se un individuo si identifica completamente con la propria Persona, vive esclusivamente attraverso il ruolo sociale, soffocando le proprie emozioni e bisogni autentici. Questi ultimi  andranno a far parte di tutto quello che il soggetto lascerà in ombra di sé stesso, diverranno inconsci. 

Un meccanismo psicologico può essere il seguente, la Persona, costruita per soddisfare le aspettative sociali, spesso reprime (consapevolmente) o rimuove/nega (inconsapevolmente) aspetti più autentici o meno accettabili del sé, che finiscono nell’inconscio come Ombra. Veniamo ad un esempio, un soggetto che si identifica in una persona sempre gentile e accomodante può nascondere rabbia, risentimento o desideri inconfessabili. Questa dinamica può portare a una scissione tra l’immagine pubblica e il vero sé, generando conflitti interiori fino a vere e proprie crisi personali che molto spesso avvengono nella cosiddetta mezza età. In questo periodo, infatti, si fa sempre più pressante il desiderio inconscio, ma più propriamente della propria psiche autonoma che definiamo come anima, di realizzare sé stessi in modo autentico. Quello che qualsiasi psicologo junghiano definirebbe come processo di individuazione.

Questi aspetti, che fanno parte del dramma che più o meno sente ogni essere umano, e che comportano scelte come assumere un’identità precostituita o il ricercarne una sono ben descritti in alcune opere di Pirandello come “Sei personaggi in cerca d’autore” del 1921, ma soprattutto “Uno, nessuno e centomila” del 1926.

Sindrome dell’impostore e vita moderna

La concettualizzazione del fenomeno dell’impostore così come quella di Falso Sé, della Persona, della “personalità come se” è stata posta in essere in un periodo nel quale ancora non esistevano i social network e la cultura dell’apparire non era in voga come adesso. Ma, tutti gli aspetti descritti come bisogno di essere visti, riconosciuti, accettati nonché la necessità di aderire a standard astratti, trova una manifestazione amplificata nei profili social, dove le persone costruiscono versioni ideali o desiderabili di sé stesse. I social media, che si fondano su criteri di popolarità, alterano talmente tanto il rapporto con la propria immagine da far cambiare anche il modo in cui si percepisce il proprio corpo e quindi la base per la coscienza di sé. 

Essi, infatti, si connettono con il bisogno di relazione e vicinanza attraverso la simulazione che deve rispettare criteri di accettazione sociale ma nel contempo escludono il corpo reale, che sia il proprio o quello altrui. Il paradosso che si crea è che il rispecchiamento che fonda il riconoscersi come identità individuali l’un con l’altro non è più gestito in una dinamica autenticamente diadica, triadica o di gruppo, ma da algoritmi. Questi a loro volta sono una traduzione in pesi numerici degli ideali astratti che maggiormente funzionano e che orientano la scelta della piattaforma.

Come dato di fatto posto dal mondo attuale occorre tenere presente anche la precarietà del mondo del lavoro. Precarietà che riguarda sia il versante contrattuale che le prospettive future di ogni professione. Aumentano così di molto le pressioni verso la performance e quindi la possibilità di non essere all’altezza del compito nonché lo spirito competitivo a scapito dello spirito di gruppo. Infine, un mondo iperconnesso e pieno di informazioni ci rimanda continuamente una sensazione di insufficienza, come se non si potesse riuscisse ad avere un quadro adeguato delle questioni. Tale ultimo aspetto per converso, comporta la necessità di rifugiarsi nelle soluzioni semplici, binarie potremmo dire, per poter risolvere l’ambiguità.

Cosa fare con la sindrome dell’Impostore?

Rispetto alla domanda circa cosa fare quando sentiamo di essere all’interno di pensieri e preoccupazioni tipiche del fenomeno dell’impostore vi posso portare la risposta che può fornire la psicologia analitica e archetipica. 

Occorre prendersi cura dell’immagine dell’impostore che è in noi! Infatti, abbiamo visto come per molti soggetti è difficile confrontarsi con le proprie insicurezze, mettere in discussione le norme o gli ideali perseguiti o addirittura arrivare ad una connessione intima con chi si sentono veramente. Viene fatto di tutto per evitare questo confronto e a volte è talmente procrastinato che di fronte a situazioni di fallimento può avvenire un crollo con importanti stati depressivi o episodi simili alla psicosi.

La psicoterapia analitica, con l’utilizzo di simboli e connessioni con quello che fa parte dell’immaginario collettivo, permette, a coloro che si sentono “divisi” dal proprio Sé (o dalla propria anima), di avere uno spazio per pensare la propria complessità e riunire tutte le proprie parti frammentate. Per fare ciò occorre prima di tutto “tradire” gli ideali di perfezione provenienti dall’esterno con cui ci si è abituati a confrontarsi continuamente. 

Forse è proprio questo il fine dell’immagine dell’impostore, un impostore in fondo tradisce il senso di fiducia degli altri attraverso la menzogna. Occorre chiedersi quanto mentiamo a noi stessi o ancora più radicalmente quanto abbiamo tradito le proprie parti psichiche vitali in funzione di un supposto adattamento sociale. Occorre pertanto ripartire dalle tante immagini spezzettate di noi che potremmo vedere riflesse nei frammenti di uno specchio rotto.

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Dunque per gli altri sono quell’estraneo sorpreso nello specchio: quello, e non già io quale mi conosco: quell’uno lì che io stesso in prima, scorgendolo, non ho riconosciuto
(Vitangelo Moscarda in "Uno, nessuno e centomila")

Sindrome dell'Impostore, Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello
Luigi Pirandello (1867 - 1936)

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La sindrome dell'impostore

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