Oltre la celebrazione: esploriamo l'archetipo del lavoratore e il suo ruolo nella nostra psiche e società. Un ruolo che riassume in sé quello del pensatore e quello dell’artista.
Il primo maggio si celebra la festa dei lavoratori. Non è una data solo italiana.
Infatti, il perché si celebra il 1° maggio la festa del lavoro è dato da un fatto storico. Fu il primo maggio del 1866 a Chicago che venne indetto uno sciopero generale rivolto a tutti i lavoratori degli Stati Uniti per ridurre la giornata lavorativa a 8 ore. Ne seguirono anche scontri con morti, ma tale protesta alla fine fu raggiunse l’obiettivo. Un diritto di cui godiamo tutt’ora nei paesi occidentali.
Ma adesso vediamo come riflettere in termini archetipici sulla figura del lavoratore, o meglio sulla funzione che ha questa figura all’interno di ognuno di noi. Partiamo da questa considerazione di Bachelard:
“Il lavoratore non resta «alla superficie delle cose», ma sogna l’intimità, le qualità intime con la stessa ‘profondità’ del filosofo […] Possiamo ipotizzare che anime semplici, che meditano mentre fanno un normale lavoro manuale […] abbiano conosciuto questo carattere reale dell’immagine materiale, che fa del mordente del male una condizione quasi necessaria dell’impregnazione del bene.”
Il grande filosofo ci fa notare come il lavoro, l’attività manuale e pratica è una modalità di conoscenza, in essa vi può essere una scintilla di Eros di relazione con la natura in sé delle cose. L’attività comporta anche la fatica, il sudore e il soffrire, è qui dove alla fine attecchisce la conoscenza, il bene per l’uomo. Compierla porterà a celebrare la festa dei lavoratori. Celebre è la terzina dantesca (Inferno, Canto XXVI):
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.”
Come si leghi il bisogno di attività alla conoscenza e come queste siano insite in ciascuno di noi è facile verificarlo con un po’ di spirito di osservazione. Ad esempio basta porre lo sguardo a come le attività pratiche si sviluppano nei bambini. Essi prendono gli oggetti, li rompono, li smontano, li fanno cadere dal seggiolone per vedere cosa succede. Non è forse questa una modalità di conoscenza svolta attraverso operazioni manuali? Senza queste azioni concrete l’immaginazione pura del bambino non potrebbe avere base empirica e divenire principio di realtà. Senza queste azioni in cui lo sguardo compiaciuto e birichino del monello si riflette negli occhi di un genitore compiacente non si formerebbe neanche l’autostima. Tutto si invilupperebbe in una psiche in preda all’angoscia, a meno che non ci sia una vocazione più forte. E la vocazione è un daimon che si vuole esprimere, un archetipo.
Efesto l'archetipo del lavoratore
Per i greci l’archetipo del lavoratore era Efesto, latinizzato con Vulcano. Egli era un figlio concepito per partenogenesi da Era ma poi subito diseredato poiché visto come deforme dalla stessa madre. Egli fu buttato giù dall’Olimpo e per questo rimase claudicante tutta la vita. Fu accolto da Teti ed Eurinome, due potenti divinità marine, basti pensare che Zeus stabili che Teti si sposasse con un mortale per non avere una progenie troppo potente, così nacque Achille. Efesto crebbe con queste due amorevoli nutrici e coltivò così la sua creatività nel lavoro con il fuoco. Tuttavia, covava rabbia e tornò nell’Olimpo vendicandosi contro sua madre. Infatti, imprigionò Era in un trono dorato e acconsentì di liberarla, per intercessione di Dioniso, solo dopo che gli fu promessa come sposa Afrodite. Gli artefatti che troviamo in molte storie mitiche furono proprio opera di Efesto come l’arco e le frecce di Apollo, Artemide, Eros oppure l’armatura di Achille, la stessa Pandora e il suo vaso.
Ma cosa c’entra Efesto con la psiche e la festa del lavoro? Forse niente o forse tutto, però è significativo che è il fuoco di Efesto che Prometeo ruba e dona agli umani per emanciparli da uno stato di natura infausto a causa della sbadataggine di Epimeteo.
Ecco perché è così importante il lavoro per l’essere umano. Esso non è un solo mezzo di sussistenza, tempo ripagato con valuta per acquistare oggetti più o meno utili a sopravvivere. Attraverso l’opera manuale si esprime la pulsione a conoscere e a padroneggiare la natura. Tutte quelle azioni ripetitive e faticose strappano sempre un piccolo pezzetto da una materia ignota e la trasformano in qualcosa non solo di noto e comprensibile, ma anche esteticamente significativo; si pensi alla scultura alla creazione del vasellame e così via. L’artista etereo incapace di stare a contatto con la nuda realtà è una caricatura dei razionalisti. Anzi l’artista oltre ad essere in contatto con la propria realtà psichica, le immagini psicologiche, è anche in grado di renderle vive con tecniche pratiche. Unisce nel modo più efficace fantasia e concretezza, cosa impossibile per un puro spirito razionale, che non esce mai dall’aridità dei fatti o per un idealista che piega la realtà agli ideali che detiene. E’ attraverso il lavoro creativo che ognuno di noi esprime il proprio fuoco spirituale, la propria scintilla di individualità. Qui sta la sollennità a cui dobbiamo unirci nella festa dei lavoratori.
Adesso volgiamo il lavoro di Efesto a livello intrapsichico, come fosse un processo interiore. Egli può rappresentare una parte della nostra psiche rifiutata, che è rigettata nell’Ombra. Ma è proprio in questa zona che viene accolta con premura e accudita acquisendo forza, energia e specializzazione. È quello che succede ad un complesso interiore oppure una ferita emotiva, rifiutati dal punto di vista della coscienza. Tuttavia, sono destinati prima o poi a riemergere e a mettere sotto scacco le certezze acquisite con qualche sintomo. L’emozione che più spesso è associata a questi complessi è la rabbia, un’affettività che spesso nasconde il sentimento del rifiuto. L’affronto che fa a sua madre, la regina degli dèi, denota come nel momento in cui la psiche è preda di qualche immaginario complessuale si perde ogni ordine e ogni capacità di accoglienza. Solo il “pazzo” dell’Olimpo – Dioniso – riuscirà a convincerlo, mostrando così che il contatto con le proprie parti folli – in sostanza l’analisi psicologica – è in grado di dissolvere tali immagini complessuali e liberarne la creatività. Alla fine Efesto si trasformerà in quella figura del dio lavoratore e creativo al servizio degli olimpi e degli eroi della Grecia.
L'immaginario del lavoro e del lavoratore
Questa lettura della figura del lavoratore archetipico ci dimostra come l’immagine del lavoro è fondamentale nel processo di individuazione psichica. Significa che ognuno di noi deve sviluppare una capacità personale di incidere sull’ambiente, ne vale della salute del soggetto e del collettivo. Il sociologo Luca Ricolfi nota come nella nostra società il lavoro non risulta più un immaginario fondante. È svalorizzato da assenza di diritti, da contratti capestro oppure è presente una schiera di persone non impegnate in attività di studio o lavoro e chi vorrebbe assumere personale specializzato non lo trova. In una società così diviene arduo trovare uno spazio per la ricerca di significato, in sintesi non emergono spazi concreti per un processo di individuazione autentico. Questo atteggiamento di assenza di valore nel lavoro è uno dei punti che caratterizza lo stato attuale definito dallo studioso come società signorile di massa. La ricchezza non è generata da processi creativi – ricordiamoci di Efesto – ma derivante da rendite di posizione o da capitali accumulati. Ernst Junger così scriveva:
“Nell’età borghese, tutto si è liquefatto in idee, concetti o meri fenomeni, e i due poli di questo liquido spazio sono stati la ragione e il sentimento.”
Degradare il lavoratore è come degradare l’essere umano. Per cui in questa prospettiva il lavoro non è qualcosa che si riduce al produrre e al prodotto, ma è la valorizzazione e il significato che assume il processo del penetrare entro le leggi che governano la natura. Quest’attività riguarda sicuramente gli aspetti concreti del vivere che tutti conosciamo, ma è rivolta specularmente anche all’interno come possibilità di penetrare, attraverso la riflessione, negli esiti delle azioni, la propria natura più intima.
Pertanto, il lavoro è un modo di essere, è un modo di riunire la propria essenza individuale con quella collettiva. Quindi, senza stare a indicare responsabilità individuali, sociali o politiche una domanda analitica si pone a quella fascia consistente di Neet che, si spera, ambiscano ad un qualche livello di felicità. Come è possibile perseguire questo obiettivo senza sporcarsi con il lavoro, senza unirsi alla festa dei lavoratori?
La critica posta da Junger alla borghesia riguarda il suo essere stantia perché improntata alla sola ricerca di sicurezza, pur professando il progresso essa produce immobilismo. Il lavoro come “opera” invece comporta una creazione di qualcosa di nuovo che avviene continuamente. Un qualcosa che non è solo concettuale ma sensibile, una trasformazione permanente dell’essere che assume nella modernità un qualcosa di rivoluzionario perché vi è confronto con la natura effettiva dei fenomeni non con idee che assumono di per sé un qualche grado di verità. Il lavoratore nella sua opera trasforma la natura e nel suo dominarla la comprende. Da una parte se ne impossessa, ma dall’altra ne diviene parte ed è questa la paura che, secondo il pensatore tedesco, domina l’ideologia borghese.
E allora facciamo un salto agli inizi della nostra civiltà, quando non c’era divisione tra lavoro e rito, anzi ogni attività umana aveva in sé un carattere sacro. Ce ne parla Eliade che illustra come attraverso le pratiche apprese, in primis la lavorazione dei metalli, si veicolavano immaginari di stampo religioso o mitico. In questa ritualità tutti i giorni ricorreva la festa dei lavoratori, nella sua accezione originaria come ricorrenza sacra, solenne. Ogni gesto assumeva così la forma di un’idea archetipica e l’individuo era un tutt’uno solidale con essa. Si esprimeva così l’unione tra anima individuale e Anima Mundi, tra soggetto e natura; uno dei requisiti della felicità. Questa non va confusa l’assenza di sofferenza, ma essere felici comporta sempre una dimensione di acquisizione di significato che proietta verso il futuro.
Un po' di psicologia per concludere
Venendo quindi alla psicologia questa prospetta il benessere psicologico come costituito da una serie di componenti che devono essere ben amalgamate come:
– Autonomia personale
– Percezione di controllo sull’ambiente
– Sentire di avere uno scopo nella vita
– Crescita personale e apertura al nuovo
– Autoaccettazione
– Relazioni positive con gli altri
Come notiamo i primi quattro fattori per svilupparsi hanno bisogno di qualche azione concreta, essi emergono prima attraverso il gioco del bambino e poi con il lavoro dell’adulto. Un lavoro dove permane il gusto fanciullesco per il gioco e la scoperta, ricordiamocelo quando celebriamo la festa dei lavoratori.
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“Non è nel silenzio che si fanno gli uomini, ma nella parola, nel lavoro, nell'azione-riflessione.”
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